La riforma delle regole della finanza americana annunziata da Obama è stata accolta dalla gran parte dei media come una svolta storica. Purtroppo di storico rischia di esserci solo la gigantesca occasione perduta di trarre le giuste lezioni dalla crisi finanziaria. Si sta galleggiando tra populismo e proibizionismo finanziario, e l'effetto paradossale potrebbe essere quello di fare un grosso favore solo alle lobby bancarie di Wall Street.
Perché si rischia di perdere una grande occasione? La crisi finanziaria ci ha insegnato che alla radice di tutto, oltre ad una politica monetaria sbagliata, c'è un cattivo disegno delle regole, che ha causato due deficit tossici per i mercati, tra loro intrecciati: un deficit di informazione ed un deficit di comportamenti.
Se non si vuole rinunciare all'obiettivo di proseguire sulla strada della globalizzazione e dell'integrazione dei mercati, occorre seguire quello che possiamo battezzare il Pentalogo delle Regole. Occorre cioè che la riforma delle regole negli Stati Uniti - ma non solo segua almeno cinque direttrici.
In primo luogo, la contabilità. Le regole contabili americane hanno una grande responsabilità nell'aver determinato i deficit di informazione e di comportamento che prima abbiamo ricordato. Nei fatti le banche americane hanno sfruttato ad esclusivo vantaggio dei propri bilanci gli ampi margini di discrezionalità che la contabilità americana concedeva e concede rispetto ad esempio agli standard concretamente applicati in Europa. Opacità e distorsioni sono state le inevitabili conseguenze. Su questo punto, gli Stati Uniti sono fermi al palo, e gli unici atti concreti sono dilazioni del tempo nel momento in cui occuparsi della questione.
In secondo luogo, i mercati mancati. Nessuno oramai nega in sede di diagnosi che lo sviluppo esponenziale di scambi non regolamentati di strumenti finanziari complessi ha rappresentato un catalizzatore importante della crisi. Allo stesso tempo, in sede di terapia nessuno vuole abolire tali strumenti, per le loro potenzialità in termini di copertura del rischio e di veicolo di informazione per i mercati. Tutti dicono dunque di volerli regolamentare. Ma nulla accade. Il tema è timidamente toccato nella proposta Obama, in modo parziale e finendo per utilizzare l'approccio sbagliato alla Vocker: proibire, invece di regolamentare.
In terzo luogo, i controlli prudenziali. I deficit di informazione e di condotta sono stati anche amplificati dal disegno sbagliato ed incompleto dei cosiddetti coefficienti di capitale. Qui il silenzio americano può essere giustificato grazie all'alibi del coordinamento internazionale. Il dibattito sulla cosiddetta Basilea 3 consente di accumulare convegni e non far nulla, accrescendo l'incertezza, ed aumentando così il rischio di razionamento del credito.
In quarto luogo, il numero ed il disegno delle autorità di vigilanza. La vigilanza è fallita in tante parti del mondo per almeno una delle tre seguenti ragioni: eccessivo numero delle autorità di controllo; loro cattiva governance, in termini di disegno dei rapporti tra politici, autorità e banche; errori di coordinamento. Allora occorre agire almeno su due fronti: ridurre il numero delle autorità e migliorarne la governance. Tali provvedimenti sarebbero particolarmente urgenti negli Usa, ove il sistema dei controlli è il più balcanizzato del mondo e ricco di episodi di connivenza tra politica, controllori e controllati.
Obama ignora il problema. Anzi: crea una nuova autorità a tutela dei consumatori finanziari (e l'antitrust che ci sta a fare?), cavalcando il populismo.
Infine, i rapporti tra banca centrale e vigilanza. L'efficacia di una banca centrale nel governare sia i tempi ordinari che quelli di crisi dipende da due condizioni: la banca centrale deve governare solo la politica monetaria in vista della stabilita monetaria; inoltre deve avere accesso completo e continuo a tutte le informazioni che vengono dalla vigilanza, senza però gestirla in prima persona.
Obama dimentica anche qui la lezione: addirittura si aumentano i poteri della amica Fed, banca centrale istituzionalmente già ora molto condizionabile sia dai politici che dalle banche. In conclusione: il percorso di riforma finora disegnato è fatto di deboli regole e di omissioni. L'ideale per Wall Street. Gli applausi dell'altro giorno - presidente di Goldman Sachs in testa - non erano semplice cortesia.