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Lo sciopero degli immigrati
come disobbedienza civile

di Khaled Fouad Allam

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28 Febbraio 2010

Nella Francia della fine anni 50, in piena guerra d'Algeria e all'inizio dei flussi migratori di origine maghrebina, un celebre comico francese scomparso oltre trent'anni fa, Fernand Raynaud, aveva intuito le difficili relazioni intercomunitarie tra francesi e immigrati.

Egli rappresentò la questione in uno sketch, divulgato dalla nascente televisione nazionale: in un villaggio nel cuore della Francia un contadino va in panetteria a comperare le baguette e inizia a conversare con il panettiere, dicendo che non riconosce più il suo villaggio perché ci sono troppo stranieri; una settimana dopo, come di consueto, il contadino va per comperare le sue baguette ma trova la panetteria chiusa. L'unico panettiere del villaggio se n'è andato, e il contadino viene a sapere che il panettiere era in realtà straniero, e che aveva preferito andarsene con l'intera famiglia a causa del clima di ostilità verso gli stranieri. Ora gli abitanti del villaggio si ritrovano a dover percorrere oltre dieci chilometri per comperare le loro baguette.

La morale della storia è che anche lo straniero può essere indispensabile alla comunità, ma talvolta le paure nei suoi confronti sono tali che possono distruggere ogni equilibrio.

Lo sciopero degli immigrati di domani ha qualcosa d'inconsueto, perché gioca sul registro della paura e dell'indispensabilità. Penso che, anche se lo sciopero è una delle forme meno utili di contestazione, sia importante capire perché l'immigrazione intenda usare questo sciopero come una forma di disobbedienza civile.

La nozione d'immigrazione è probabilmente una delle più fragili e delle più complesse da trattare, al di là di ogni specificità culturale o linguistica, semplicemente perché contiene la nozione di frontiera; e la figura dell'immigrato riassume nella propria posizione la differenza tra nazionale e non nazionale. Ho più volte affermato e scritto che l'immigrato rappresenta la figura dello straniero nella Bibbia, e che le società europee trovano enorme difficoltà a comporsi con l'immigrazione, il cui tessuto antropologico e le cui caratteristiche sono molto cambiate fra il secolo scorso e gli ultimi anni.

Fra il XIX e la prima metà del XX secolo la gran parte dell'immigrazione era intraeuropea (comprendendovi gli Stati Uniti). Oggi invece, oltre il 56% dei flussi migratori nei 27 paesi dell'Unione Europea origina da paesi non europei. E nell'attuale contesto di preoccupante recessione economica, di disoccupazione in crescita esponenziale e di denatalità, la paura tende ad essere il comune denominatore nel trattare le questioni migratorie.

Anche l'alterazione demografica in atto in Occidente tende a provocare resistenza nei confronti dell'immigrazione e crea un clima di forte disagio per gli immigrati. Di fronte a essa le opinioni pubbliche si dividono: da un lato la visione conservatrice di chi pensa che la combinazione fra un'importante immigrazione e una debole natalità altererebbe definitivamente l'identità originaria del paese; dal lato opposto un'interpretazione più liberale, per cui l'immigrazione avrebbe un ruolo importante da svolgere proprio per riequilibrare i rapporti generazionali, e per cui lo sviluppo di politiche d'inclusione e d'integrazione aiuterebbe il dialogo delle culture e diluirebbe le differenze culturali.

Nella situazione attuale abbiamo opinioni pubbliche divise e dottrine che si rimandano a vicenda ipotesi e giudizi; ma si dovrebbe andare oltre e guardare a un paese come gli Stati Uniti, che ha fatto della diversità culturale la genesi dello stato-nazione.

Anche includendo popolazioni non europee - arabi, africani, asiatici - l'America non si è arabizzata, non si è africanizzata, non si è asiatizzata; non è a metà strada fra Oriente e Occidente, è semplicemente l'America, un Occidente che ha saputo, anche con grande difficoltà, riformulare il suo ethos fondativo. Il reale sincretismo culturale che possiamo riconoscere nel jazz, nelle arti, nella letteratura, nei laboratori universitari è frutto della capacità di comporre ciò che un tempo era immigrazione e che con faticose politiche d'inclusione si è trasformato in un'autentica cultura americana.

Forse la cultura europea di domani potrà plasmarsi sulla musica di Mozart, ma anche sul rap e sulla letteratura delle nuove minoranze nazionali. Il dibattito per ora resta aperto, duro e difficile. Ma avrei preferito, al posto di uno sciopero, ascoltare o leggere il racconto del disagio; perché gli scioperi passano, ma la letteratura rimane e segna i nostri difficili tempi.

Sciopero immigrati è prima assoluta su scala europea
FOTOGALLERY / La manifestazione degli immigrati del 1 marzo

28 Febbraio 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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