Come sempre, quanto accade alla Fiat assume un valore simbolico che va spesso oltre le effettive dinamiche riguardanti il gruppo automobilistico di Torino, ormai per metà americano. Non ha senso, per un pugno di voti, denunciare la droga degli incentivi quando tutto il mondo ha aiutato il settore auto a uscire dalla palude della grande crisi, ben sapendo che, se il settore riparte, rifiata tutta l'economia e passa anche l'idea di incentivi per le altre aziende boccheggianti. Né ha senso gridare al ricatto se un'azienda così importante si destreggia a utilizzare strumenti previsti per legge (e pagati da imprese e lavoratori) per ammortizzare i cali di domanda facendo ricorso alla cassa integrazione. C'è nel mondo – e dunque anche in Italia – un problema di eccesso di capacità produttiva: la sorte di Termini Imerese è segnata, ma i contraenti (azienda, sindacati e governo) sanno ora, con due anni d'anticipo, che quei cancelli si chiuderanno per sempre all'avventura dell'auto. C'è tutto il tempo, se solo lo si vorrà, per organizzare con attenzione e lungimiranza eventuali nuovi business. Servirebbero testa fredda e buonsenso da parte di tutti: virtù introvabili oggi in Italia.