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Quanti uomini ci leggeranno

di Alessandra Casaricoe e Paola Profeta

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28 gennaio 2010

Parità nel 2033: secondo dati elaborati da Manageritalia e ripresi ieri dal Sole 24 Ore, questa è la data in cui la composizione degli occupati vedrà il 50% di uomini e il 50% di donne. È opportuno accelerare questo passo o è preferibile rispettare i tassi di crescita osservati nel passato? Basterà il superamento della parità nell'ambito dell'istruzione terziaria a dare una scossa all'incremento nell'occupazione femminile o sarebbero auspicabili degli interventi per rinvigorire il lento cambiamento iniziato? Noi riteniamo che qualcosa possa e debba essere fatto.

I ritardi nell'occupazione femminile italiana rispetto a quanto osservato negli altri paesi sono noti, così come è nota la scarsa rappresentanza femminile nelle istituzioni o ai vertici delle aziende, soprattutto se si escludono dai calcoli le donne appartenenti alla famiglia che detiene la proprietà. Meno consenso c'è sulle cause di questi ritardi, e quindi sul da farsi. Se la scarsa presenza femminile è il semplice riflesso delle preferenze dei cittadini italiani, non è corretto parlare di ritardi rispetto agli altri paesi, ma solo di diverse preferenze. Se è solo una questione di tempo, saranno le nuove generazioni a regalare un mondo del lavoro più paritario. Noi crediamo invece, e non siamo le sole a pensarlo, che la divisione del lavoro all'interno della famiglia e l'ambiente istituzionale in cui le decisioni di partecipazione e fertilità vengono prese non garantiscano a uomini e donne di partire dallo stesso livello, o di avere la medesima opportunità di operare scelte libere.

Nella famiglia il carico di lavoro domestico e di cura dei bambini e anziani è ancora fortemente sbilanciato sulla donna. Di conseguenza, se le imprese si aspettano che le donne dedicheranno meno tempo e meno energie al lavoro rispetto agli uomini, preferiranno non assumerle, oppure bloccarle in lavori meno prestigiosi e in carriere meno remunerative.

L'ambiente istituzionale favorisce poco il riequilibrio del lavoro di cura. Esso è definito dalle condizioni sul mercato del lavoro, dall'offerta di servizi, dalla fiscalità, dalla legislazione sui congedi, dalla presenza di azioni positive che sostengano la presenza femminile, da un monitoraggio attento di ciò che accade nelle aziende, pubbliche in primis ma anche private. Si tratta di un contesto articolato in cui è difficile pensare a un unico intervento come soluzione per accelerare l'obiettivo della parità. Ma questo non giustifica l'inazione. Anzi, dovrebbe stimolare ad articolare le misure necessarie in modo flessibile e anche un po' creativo. Forse è vero che in paesini di montagna o in zone poco abitate sarebbe inutile o poco sensato aumentare l'offerta di asili nido, o costringere i bambini a lunghi viaggi per raggiungerli, ma non per questo il tema dei servizi alla persona deve essere abbandonato. Non dimentichiamoci che le liste d'attesa per accedere agli asili nido sono lunghissime.

Mentoring o azioni positive possono sembrare inadatte nella realtà produttiva italiana, prevalentemente fondata su piccole e medie imprese, così come spesso si sostiene che questa tipologia di imprese non abbia le risorse né i numeri per giocare un ruolo rilevante nel sostenere l'offerta di servizi alla persona diversamente dalle grandi multinazionali. Forse. Ma spazi per forme di cooperazione, anche con il sostegno dei governi locali, potrebbero essere individuati.
La situazione attuale dice che gli interventi sono ancora molto timidi. Politiche di genere sono quasi del tutto assenti e sul fronte del sostegno della divisione dei ruoli all'interno della famiglia c'è poco. La spesa per famiglie è tra le più basse in Europa. Si punta sui legami intergenerazionali, invece che rafforzare l'indipendenza dei singoli e delle scelte individuali. Le azioni positive che potrebbero correggere il vantaggio (esistente, e spesso immeritato) degli uomini nel mondo del lavoro stentano a decollare. Proviamo a pensare che queste azioni non sarebbero tanto un costo indebito per gli uomini, quanto una riduzione dei benefici di cui stanno (oltremodo) godendo.

Accelerare con misure opportune la parità di genere sia nell'ingresso al lavoro sia nelle carriere non è una questione che dovrebbe interessare solo le donne. È una questione di funzionalità dell'economia e della società nel suo complesso. Ma quanti uomini sono arrivati alla fine di questo articolo? Ecco, speriamo che il dibattito acceso serva a questo, a far capire che è nell'interesse di tutti. Contemporaneamente, è tempo che la politica parta, con azioni concrete, efficaci e rapide.

28 gennaio 2010
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