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Rilanciamo la crescita e non solo il Pil

di Corrado Passera

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28 Marzo 2010

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il Pil include il contributo dell'economia sommersa - che da sola vale circa il 20% del Pil - ma ne fornisce una valorizzazione molto incerta e solo stimata. Non include infine l'economia illegale.

Oggi la performance di un Paese, di una classe politica o dirigente in generale, viene - alla fine - sintetizzata in questo numeretto tanto importante quanto impreciso, che approssima la crescita economica ma che confonde qualità con quantità, rende addirittura fuorvianti taluni confronti (è come se nel valutare la gravità di uno stato febbrile non tenessimo conto dell'età o della costituzione fisica del malato) e riduce la società ad economia.

Se per crescita intendiamo un concetto non solo economicistico, ma più vicino a benessere, sviluppo, progresso, allora evidentemente dovremo dotarci di un insieme di indicatori molto più articolato. Questa è una sfida culturale in corso sulla quale molte energie intellettuali e numerose istituzioni di livello internazionale si stanno esercitando, senza ancora aver trovato soluzioni alternative al Pil davvero convincenti. Anche perché - ovviamente - le connotazioni culturali di benessere, sviluppo, progresso, possono essere molto distanti nei diversi contesti culturali.

A voler trovare alcuni punti sui quali tutti i gruppi attualmente al lavoro si trovano abbastanza d'accordo, questi sono alcuni dei principali:

la misura della crescita deve tener conto della qualità e dell'accesso all'istruzione, della qualità e dell'accesso ai servizi sanitari, della qualità della giustizia e dei servizi pubblici in generale per determinarne il valore effettivo e dunque il vero contributo di tali servizi al benessere dei cittadini;

la misura della crescita deve tener conto della equità con cui la ricchezza è distribuita come della sostenibilità finanziaria e ambientale che sta dietro ai processi di crescita in corso;
tla misura della crescita deve tener conto di fattori difficili da calcolare, ma non meno importanti dei precedenti come la qualità dei rapporti sociali, la tutela dei diritti, il tasso di criminalità, il livello di partecipazione democratica e molto altro ancora.

È chiaro che questi discorsi portano lontano e ci vuole una visione culturale di ampio respiro e non solo un'adeguata tecnica economico-statistica per affrontarli. E questa è una delle sfide ambiziose che spero voi saprete raccogliere.

Il peggiore degli errori sarebbe però quello di buttar via il Pil e infilarsi in un sistema di mille indicatori eccessivamente complicati, non gerarchizzati e non confrontabili internazionalmente. Altro errore sarebbe quello di favorire la tendenza in vari Paesi a "scegliersi" gli indicatori - tutti ne hanno di positivi - per convincere e convincersi che in fondo le cose vanno meglio di quanto sembri. Autoconsolarsi e non confrontarsi è quasi sempre un esercizio pericoloso.

Tra il Pil "über alles" e i mille indicatori paralizzanti c'è una via di mezzo? Credo di sì.

Il Pil va certamente mantenuto, imparando però a conoscerne ed evidenziarne meglio le diverse componenti. Organismi come l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) potrebbero ricevere il compito di integrarne progressivamente le formule per colmare i principali buchi del calcolo del Pil sul fronte più strettamente economico, finanziario, patrimoniale. Garantendo confrontabilità storica e orizzontale tra Paesi.

Da subito dovremmo accompagnare però il Pil almeno con un altro super indicatore che diventi un secondo misuratore riconosciuto della performance di tutti i Paesi e quindi delle rispettive classi dirigenti. A questo fine proporrei di utilizzare il numero di posti di lavoro. Anche su questo concetto ci sarà da intendersi per trovare misure condivise e comparabili, ma la creazione di lavoro è talmente importante e dal lavoro dipendono talmente tante altre variabili importanti, che in questo campo prima di qualsiasi altro cercherei di introdurre questo meta-indicatore, complementare al Pil. Se anche ci fosse ripresa ma continuassimo a perdere posti di lavoro, che ripresa sarebbe? Certo non potremmo mai accontentarci di una jobless recovery, di una crescita senza occupazione.

E poi, con determinazione e pazienza, si potrebbero aggiungere progressivamente altri indicatori semplici, trasparenti e confrontabili, per mettere attenzione sulle altre aree chiave del benessere sociale che costituiscono la responsabilità di tutte le classi dirigenti.

L'articolo di Corrado Passera è un estratto della lezione inaugurale che il Ceo del Gruppo Intesa Sanpaolo terrà domani all'Imt, l'Institute for advanced studies di Lucca.
L'inaugurazione si svolgerà nel Complesso di San Francesco della Cappella Guinigi, (via della Quarquonia, 1 - ore 14,30).
L'Imt, guidato dal direttore Fabio Pammolli, è un istituto di ricerca internazionale, una graduate school dedicata alla selezione e alla formazione di élite professionali e di competenze destinate alle istituzioni, al sistema delle imprese e al territorio.

28 Marzo 2010
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