Le "vie della ripresa" hanno, giustamente, tra le priorità la politica industriale. Termine andato in disuso da quando il lavoro e la produzione hanno perso centralità a favore della finanza e della remunerazione a breve.
La crisi, foriera di grandi problemi, rappresenta, però, anche l'opportunità di correggere drasticamente scelte erronee del passato. Come Cgil non abbiamo mai abbandonato l'idea della politica industriale e oggi, più che mai, pensiamo sia essenziale fare delle scelte, definire risorse e certezze, tracciare il futuro del paese.
Il primo passo è quello di difendere l'apparato produttivo. Per questo chiediamo di raddoppiare la durata della cassa integrazione ordinaria, di fermare i licenziamenti, di varare misure per incentivare la crescita dimensionale delle piccole imprese, che rappresentano l'ossatura del sistema produttivo ma sono deboli di fronte alla crisi e alla necessità di internazionalizzarsi. Per questo guardiamo con interesse al progetto T-holding, lanciato da Confindustria nel Forum della Piccola industria.
La Cgil ha presentato le sue proposte. Un ventaglio ampio che attraversa i settori industriali con un occhio alle eccellenze e con l'attenzione dovuta al Sud. Proposte con un denominatore comune: il paese deve avere un'idea, un obiettivo strategico. Lo abbiamo indicato nell'economia verde, come politica che affronti risparmio e rinnovabilità dell'energia e attraversi tutta l'industria, innovando i cicli produttivi, i prodotti, i materiali. Un "obiettivo paese" a cui dedicare risorse e che garantisca certezze per le imprese che investono in ricerca e innovazione.
Abbiamo indicato nel credito di imposta lo strumento fondamentale per le imprese: automatico e non sottoposto al dubbio circa le risorse o alla velocità del "click", con criteri certi. Innanzitutto il lavoro. Ancora, abbiamo avanzato la centralità del territorio: i distretti e la qualificazione delle filiere, per valorizzare le risorse esistenti in loco e da alimentare principalmente con la formazione e l'istruzione. Riconoscendo le eccellenze, e uscendo dai luoghi comuni, il primo distretto oggi è in Campania: quello dell'agro-industria.
Tornando poi a ragionare di "rottamazione", possiamo pensare a scelte sulle eccellenze: più che una Tremonti-ter, perché non adottare un provvedimento sulle macchine utensili? Settore che ha bisogno di ricerca e progettazione costante per mantenere i primati raggiunti. Comunque la rottamazione in generale (auto, elettrodomestici, legno) deve instaurare un rapporto con la difesa dell'occupazione, la ricerca e l'innovazione.
Il governo finora ha fatto ben poco: nulla per i redditi da lavoro; contraddittorie le risposte sulla cassa integrazione (bene la deroga, un errore non raddoppiare l'ordinaria e l'indennità di disoccupazione); nessuna risorsa per la politica industriale e le infrastrutture (quelle cantierabili a partire dalla banda larga). Mentre continua l'enfasi sul Ponte di Messina: ma quanti asili nido si potrebbero fare al posto del Ponte per rendere concreta la scelta di innalzare il tasso d'occupazione femminile?
Si è voluta la divisione sul modello contrattuale e questo può pesare anche nell'affrontare la crisi, ma condividiamo l'urgenza di una politica industriale e vi sono punti in comune nei singoli settori: perché, allora, non provare ad avviare un confronto tra le associazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali, invece di anticipare ristrutturazioni che caricano sui lavoratori il prezzo della crisi? Un'altra strada è possibile e si deve indicare.