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Banche Usa : c'era una volta il senatore Glass

di Luigi Zingales

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28 ottobre 2009

Da lassù il senatore americano Carter Glass deve farsi quattro matte risate. Dopo essere stata abolita nel 1999 come obsoleta e antistorica, la separazione tra banche commerciali e banche di investimento da lui voluta nel 1933 (e meglio conosciuta come Glass-Steagall Act) oggi trova nuovi improbabili sostenitori. L'ha invocata Paul Volcker, l'82enne ex governatore della Federal Reserve, oggi consigliere economico di Barack Obama. L'ha invocata Mervin King, governatore della Banca d'Inghilterra, che dopo aver per anni sostenuto una regolamentazione leggera, ora si schiera a favore del più drastico degli interventi. L'ha invocata infine George Soros, il miliardario filantropo, con un'inclinazione per la politica.

L'argomentazione addotta da tutti i sostenitori sembra molto semplice e convincente. È pericoloso che attività speculative, come quelle di trading, siano finanziate con depositi garantiti dallo stato. Permetterlo equivale a favorire l'assunzione di rischio eccessivo, creando le condizioni per una nuova crisi. Meglio lasciare il trading agli hedge fund, che rischiano soldi propri, e relegare le banche finanziate con i depositi ad attività meno rischiose come i mutui ipotecari.
Il problema, però, non è così semplice. La separazione ha degli aspetti appetibili, ma si scontra innanzitutto con un problema di fattibilità. Quando le banche facevano solo prestiti in valuta domestica alle imprese locali, era semplice separare l'attività di trading da quella di prestito. Oggi, però, le principali banche offrono un menu di scelte che va dal semplice prestito in valuta domestica, al prestito in valuta estera trasformato in valuta domestica tramite uno swap, al corporate bond con tasso fisso o tasso che diventa variabile grazie a un altro swap. Per offrire questi prodotti complessi le banche devono essere presenti sui vari mercati e fare attività di trading e underwriting. Limitarle a solo alcune di queste funzioni sarebbe difficile e avrebbe l'effetto indesiderato di aumentare fortemente il costo del credito alle imprese.
Ma il maggiore difetto di questa posizione è che fornisce una risposta inadeguata ai problemi sollevati dalla crisi.

La crisi non è nata da banche commerciali che avevano assunto posizioni di rischio eccessivo grazie alla garanzia sui depositi, ma da banche d'investimento che avevano assunto rischi eccessivi contando sulla liquidità fornita dalle banche commerciali a cui non erano neppure affiliate. Se la crisi ci ha insegnato qualcosa è che la distinzione tra istituzioni finanziarie con una garanzia statale (le banche commerciali con depositi protetti dalla Fdic) e il resto del sistema finanziario è effimera. La vera differenza è tra istituzioni finanziarie così grandi da comportare rischi sistemici in caso di fallimento e istituzioni finanziarie non sistemiche. Negli Stati Uniti dall'inizio dell'anno sono fallite 106 banche commerciali, senza che lo stato intervenisse a salvarle (se non per la parte di depositi garantiti). Ma il colosso assicurativo Aig, che di depositi assicurati non ne aveva, è stato salvato con un prestito di 180 miliardi di dollari. Perché? Perché la dimensione era tale che un suo fallimento avrebbe potuto far collassare l'intero sistema finanziario. Lo stesso vale per Bear Stearns, che era una banca d'investimento, ma fu ritenuta troppo interconnessa con il sistema bancario tradizionale per poter essere lasciata fallire. La vera differenza, quindi, sta nella dimensione e nel grado d'interconnessione, non nella presenza di depositi assicurati. Con o senza assicurazione dei depositi le istituzioni finanziarie più grosse ormai operano con una garanzia implicita dello stato. La risposta, dunque, non è nella restrizione delle attività, ma nell'imposizione di standard minimi di capitale di rischio più elevati per le istituzioni di dimensioni maggiori, che comportano un rischio sistemico più alto. Questo requisito più elevato avrebbe anche la funzione positiva di ridurre o possibilmente eliminare la distorsione alla competizione a favore delle banche di maggiori dimensioni introdotta da questa implicita garanzia dello stato.

Ma allora perché persone dell'intelligenza di Volcker, King e Soros si espongono a sostegno di una risposta così inadeguata? Per Volcker si tratta probabilmente di una laudatio temporis acti, un rimpianto dei bei vecchi tempi quando il mondo era più semplice e meno rischioso. Nel caso di King, invece, questa posizione estrema può essere una manovra strategica. Il governatore inglese è consapevole che le finanze del suo governo non potrebbero sopportare un'altra crisi. Spara quindi alto, per poter arrivare a un compromesso ragionevole. Per Soros, infine, si tratta di pura strategia commerciale. Come hedge fund manager, il finanziere filantropo teme la concorrenza dei nuovi colossi bancari usciti dalla crisi. Il suo mestiere sarebbe più facile se questi colossi fossero spezzati da un nuovo Glass Steagall Act, che colpirebbe solo i suoi competitori. Requisiti di capitale più elevati per tutte le maggiori istituzioni finanziarie, indipendentemente dalla loro natura giuridica, invece finirebbero per colpire anche il suo hedge fund.

28 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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