La Banca centrale europea è una storia di successo. Prima della crisi, la sua politica monetaria non sempre ha tenuto l'inflazione sotto il 2%, ma ha comunque diffuso in Eurolandia una cultura "tedesca" della stabilità dei prezzi. La sua risposta alla crisi è stata estremamente efficace. In un vasto sondaggio condotto fra banche, operatori e investitori dall'economista di Goldman Sachs Natacha Valla, più del 70% degli interpellati è convinto che la Bce abbia fatto un buon lavoro, se non ottimo. I tre quarti pensano che l'inflazione nell'area euro non sia un problema, anche se le attuali politiche della liquidità andranno riviste andando verso la normalizzazione.
Nella condotta della politica monetaria tradizionale, orientata esclusivamente al contenimento dell'inflazione, come vuole il suo mandato, e anche nell'emergenza, con l'uso di strumenti meno convenzionali, la Bce se l'è cavata benissimo. La crisi ha però cambiato per sempre il paradigma del central banking. È impensabile oggi che una banca centrale possa far bene il proprio mestiere ignorando nella condotta della politica monetaria quel che succede ai prezzi delle attività, soprattutto le azioni e gli immobili. E la stabilità finanziaria non può più esser data per scontata. Per questo, l'Europa, dopo il rapporto de Larosière, ha attribuito alla Bce un ruolo chiave nel nuovo livello di vigilanza, quella cosiddetta macroprudenziale. Nel sondaggio, Valla riscontra «un plebiscito» per le nuove prerogative della Bce, con l'85% dei consensi.
Sarà sufficiente questa riforma per attrezzare adeguatamente l'istituto di Francoforte al mondo post-crisi ed eventualmente far fronte alla prossima crisi? Non finirà la ricerca della stabilità finanziaria per ostacolare l'obiettivo statutario della stabilità dei prezzi?
Anzi tutto, la banca dovrà dotarsi di professionalità di cui oggi non dispone a sufficienza, cioè di persone con esperienza dei mercati finanziari, come fa da tempo la Fed di New York. Per cominciare, potrebbe avvicinare al centro decisionale chi si occupa delle operazioni con i mercati, cosa avvenuta solo in parte nel culmine della crisi. Ma il vero nodo è quello di assegnare alla Bce, con una scelta più coraggiosa di quella fatta finora, un mandato esplicito per la stabilità finanziaria, riconosciuto dal Trattato. Solo così, tra l'altro, si possono risolvere le frizioni con le autorità nazionali sul flusso di informazioni sulle banche. A quel punto, la Bce potrebbe dotarsi di un terzo pilastro finanziario, che analizzi i dati sulle banche, sul credito e i mercati, da affiancare ai due attuali, focalizzati sugli sviluppi reali e quelli monetari. All'unico strumento dei tassi d'interesse, destinato alla stabilità dei prezzi, ne andrebbe aggiunto uno, basato su indicatori di mercato e della liquidità, da assegnare alla stabilità finanziaria.
Un mutamento radicale, certo, ma che consentirebbe alla Bce di non trovarsi in mezzo al guado di fronte alla prossima crisi.