Pierluigi Bersani e Guglielmo Epifani si conoscono da una vita. Bonario e pragmatico il primo, chiuso e rigoroso il secondo. Diversissimi, ma spesso uniti nel metodo. Bersani ha dato prova di riformismo in decenni trascorsi tra capannoni e lavoratori. Epifani ha saputo esserlo in anni assai caldi, quando dire sì a un accordo sulla scala mobile significava mettere a rischio non solo la propria carriera. Toccherà a loro dare un senso nei prossimi mesi al legame, uscito rafforzato dalle primarie, tra il Pd e la Cgil. Bersani dovrà ricostruire il partito e farne una forza importante del riformismo europeo; Epifani dovrà guidare una confederazione inquieta verso il congresso di primavera, facendola uscire dall'isolamento in cui si è infilata. Entrambi dovranno resistere alle spinte regressive presenti nelle rispettive organizzazioni. Se sapranno esercitare la propria leadership e collaborare sotto la bandiera del riformismo, ne guadagneranno loro e ne guadagnerà il paese. Se si lasceranno tirare indietro in un anacronistico collateralismo da chi sa solo essere contro, perderanno e perderà un po' anche il paese. Tocca a loro.