ITALIA

 
 
 

 
HOME DEL DOSSIER
23 novembre 2009

21 novembre 2009

20 novembre 2009

19 novembre 2009
18 novembre 2009
17 novembre 2009
16 novembre 2009
12 novembre 2009
11 novembre 2009
10 NOVEMBRE 2009
9 NOVEMBRE 2009
8 Novembre 2009
7 novembre 2009
6 novembre 2009
2 novembre 2009
1 NOVEMBRE 2009
31 ottobre 2009
30 ottobre 2009
29 ottobre 2009r
28 ottobre 2009
27 ottobre 2009
26 OTTOBRE 2009
25 ottobre 2009
24 Ottobre 2009
23 ottobre 2009
22 ottobre 2009
21 ottobre 2009
20 ottobre 2009

L'ITALIA BLOCCATA - LE RIFORME POSSIBILI / C'è un Sisifo in ogni azienda

di Federica Guidi

Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
28 ottobre 2009

La grande crisi che stiamo attraversando rappresenta una discontinuità. Uno spartiacque. C'è il prima, e ci sarà un dopo. Pensare all'uno e all'altro, con chiarezza e rigore analitico, è fondamentale per accorciare il tempo che li divide. Per far sì che il "dopo" cominci prima possibile.
C'è il rischio concreto che la fotografia del "prima" scolorisca pian piano, fino a ricordarci un mondo che non c'era. La "vulgata" che, mese dopo mese, giorno dopo giorno, è divenuta dominante, sostiene che per gli ultimi vent'anni il mondo abbia vissuto sostanzialmente in stato di anarchia. Libero da qualsiasi brandello di regola e alla mercè degli attori strutturalmente più forti del gioco sociale: le imprese.

In questo momento così confuso, nel quale tanti individui si confrontano con autentiche tragedie personali, come la perdita del lavoro o un depauperamento dei risparmi che arriva a metterne a rischio la casa, delinea un pensiero consolatorio. C'è un buono e c'è un cattivo. Il "buono", ingiustamente emarginato ma destinato a tornare alla ribalta, è lo stato interventista e regolatore, per come lo abbiamo conosciuto per quel tratto non breve del Novecento nel quale ha calmierato e depresso lo sviluppo delle economie occidentali. Il "cattivo" è un Prometeo impazzito che ha appiccato il fuoco al villaggio. L'imprenditore che, dissolti con l'arrivo della Thatcher e di Reagan i lacci che legavano alla rupe, ha seminato devastazione per tutto il globo, nei vent'anni appena trascorsi dalla caduta del Muro di Berlino.
Chiunque sostenga questa visione delle cose non ha mai provato ad aprire un'attività in Italia.
Un paio di anni fa, un bel libro di un giornalista, Luigi Furini, raccontava le traversie che egli aveva dovuto attraversare quando «voleva solo vendere la pizza», mettendo il dito nelle tante piaghe di chi al suo paese chiederebbe nient'altro che partecipare al grande gioco della creazione di ricchezza, a vantaggio di tutti.

Per motivi che sono evidenti a chiunque abbia mai attraversato un'esperienza simile alle fatiche di Sisifo di Furini - e cioè abbia provato a fare cose apparentemente di basilare semplicità: come aprire uno stabilimento, ristrutturare degli uffici, mettere su un chiosco di panini - l'idea che il mondo esca da una fase di "anarchia aziendalistica", in cui i capi azienda hanno fatto il bello e il cattivo tempo dentro e fuori il perimetro delle proprie imprese, obbedisce a un solo criterio: quello dell'irrealtà. E spiace vedere che un paese come il nostro, che più di altri avrebbe bisogno di tenere ben presente la differenza fra resoconto giornalistico e verità delle cose, per come frequentemente da noi della verità si fa scempio, sembri bersi fino all'ultima goccia questa curiosa "versione".

Già nei primissimi anni del secondo dopoguerra, Luigi Einaudi diceva che ogni cittadino italiano avrebbe dovuto passare in carcere una settimana l'anno - perché sicuramente reo di aver violato qualche norma di cui ignorava l'esistenza! È un autentico scandalo, che il numero delle norme attualmente vigenti in Italia sia ancora oggi al massimo stimato, anche da fonti ufficiali e da quegli stessi che, meritoriamente, si propongono di limitarlo, arginarlo e razionalizzarlo.
L'ipetrorfia legislativa caratterizza il nostro paese e rende inutilmente complesso l'operare degli imprenditori. Corruptissima re publica plurimae leges: l'alluvione di norme allarga i margini del potere discrezionale di politici e amministratori.
La rule of law, il governo della legge contrapposto al governo degli uomini, presuppone la stabilità e la conoscibilità della stessa. Senza le quali, esso non riesce a produrre quegli effetti positivi che gli sono universalmente riconosciuti (e sono anche al centro di numerose ricerche Ocse in anni recenti). Senza di esse, la legge non abbassa (come dovrebbe) ma fa crescere il costo delle transazioni.

Analogamente, è difficile non irritarsi pensando che, secondo la Banca mondiale, l'Italia è al 156° posto su 181 paesi per lentezza dei processi. Le lungaggini dei provvedimenti sono aggravate dalla gestione cattiva e confusa dei tribunali - rispetto alla quale abbiamo un benchmark nazionale, il tribunale di Torino, che dovrebbe essere riconosciuto come un modello, e fruttuosamente imitato. Il fisco è un tema che è stato grandemente al centro dell'agenda politica, negli ultimi anni. L'alta e complessa fiscalità cui gli individui e le imprese sono soggetti è un freno allo sviluppo del paese. In questi anni, destra e sinistra hanno giocato a spezzare il fronte unito dei contribuenti, differenziando fra tassazione sulle imprese e tasse sulle persone fisiche: suggerendo che ridurre l'una avrebbe reso impossibile tagliare le altre.

Al nostro convegno di Santa Margherita, nel giugno 2009, noi Giovani imprenditori abbiamo rifiutato questa logica, proponendo alcuni provvedimenti non radicali ma efficaci, affinché la fiscalità non fosse di eccessivo impedimento agli investimenti ma anzi potesse essere usata come una leva di stimolo economico. Abbiamo proposto di "congelare" gli ammortamenti fiscali, di rimodulare l'Irap nella logica del federalismo fiscale, di detassare gli utili reinvestiti nell'azienda. Tutte misure che vanno nella direzione di un rafforzamento delle imprese, in questo momento difficile. Ma come non vedere quanti sono i problemi, quando leggiamo che in Italia (e, altrove, solamente in Portogallo) un'impresa impiega più di 260 giorni per adempiere al proprio "dovere" nei confronti dello stato? Che senso ha discutere dell'entità del prelievo, quando il primo costo implicito per le imprese, e un costo così pesante sia in termini di tempo sia per quanto riguarda le professionalità da dedicarvi, è semplicemente l'adempiere alle richieste dello stato?
  CONTINUA ...»

28 ottobre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-