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Tasse a rate, dal fisco un segnale efficace

di Primo Ceppellini e Roberto Lugano

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28 settembre 2009

Che indicazioni trarre dai dati sulle dilazioni dei pagamenti legati alle iscrizioni a ruolo di tributi e contributi? In generale, l'aumento delle somme rateizzate è indicativo di due aspetti: il primo, di tutta evidenza, è la difficoltà dei soggetti di far fronte a esborsi immediati; il secondo, che merita un approfondimento, riguarda i rapporti tra fisco e contribuenti.

È evidente che la rateazione viene concessa nel rispetto di precisi parametri. Tuttavia sembra possibile cogliere, rispetto al passato, un segnale di ulteriore disponibilità da parte dell'Amministrazione finanziaria. Segnale tanto più importante se rapportato al momento di crisi, soprattutto di liquidità, del sistema. Questa riflessione sposta l'attenzione su un altro delicato aspetto, che riguarda il rapporto tra Fisco e imprese e, più in particolare, il contributo che la legislazione tributaria può dare in una fase critica.

Una premessa è d'obbligo: probabilmente, in questa fase la variabile fiscale non è la priorità assoluta del sistema impresa. In cima alle preoccupazioni degli operatori sono i problemi di recupero o di mantenimento del mercato dopo la consistente contrazione di fatturato e le grandi difficoltà di accesso al credito che rallentano (e talvolta bloccano) i pagamenti, gli incassi e il riavvio della produzione.

Sul versante fiscale, le norme dedicate alle imprese contenute nel decreto legge 78/09 - le ultime misure anticrisi varate a luglio dal Governo - sono sostanzialmente due: la Tremonti ter e l'incentivo alla ricapitalizzazione.

Si tratta di norme importanti, che purtroppo rischiano fatalmente di incidere poco sulla realtà: il premio alla ricapitalizzazione, in effetti, si concretizza in poche centinaia di euro di beneficio.

Il bonus per gli investimenti, molto apprezzato, potrebbe avere scarso appeal per tutte quelle imprese - e sono molte - che in questa fase difficilmente hanno gli utili (da detassare) e le risorse disponibili (da investire).

È naturale, quindi, chiedersi se il fisco possa fare di più. Ci sono alcuni aspetti, probabilmente minimi se valutati in una ottica generale, ma comunque di rilievo per i singoli imprenditori, che potrebbero essere presi in considerazione.

In primo luogo, andrebbe ripensato il difficile rapporto tra fisco e interessi passivi. Oggi più che mai appare penalizzante non solo la norma specifica delle imposte sui redditi (l'articolo 96 del Tuir) che limita la deduzione, ma anche l'assetto generale dell'Irap che come è noto di fatto tassa questa componente. Si tenga tra l'altro presente che, in una fase di risultati negativi, la fiscalità diretta (l'Ires) è nei fatti irrilevante per le imprese (la tassazione di un risultato negativo è sempre pari a zero), mentre l'Irap è dovuta anche dalle imprese in perdita.

In secondo luogo, sembra imprescindibile affrontare in modo organico il tema dei crediti di imposta concessi alle imprese. Non si tratta solo di stabilire con chiarezza e semplicità quali sono i criteri per individuare i soggetti meritevoli (chi investe, chi fa ricerca, e così via), ma anche di trovare regole pratiche di applicazione che siano semplici e non discriminanti. È impensabile che in futuro possa riproporsi la situazione della scorsa primavera, quando il diritto al credito di imposta si è trasformato in una gara di velocità informatica.

Infine, non sarebbe male avviare una riflessione sui "costi indiretti" del fisco in azienda. Al giorno d'oggi, pesano in modo rilevante sulle aziende i costi per la gestione di adempimenti fiscali a volte inutili, e spesso generati solo dalle follie della burocrazia. Non ha senso che in un sistema evoluto si debbano dedicare risorse preziose a gestire la deducibilità fiscale delle auto, ad annotare le fatture per viaggi e alberghi (visto che l'Iva delle ricevute è indeducibile anche per le imposte dirette), a gestire le spese che le aziende anticipano per i professionisti di cui si avvalgono.

Sono solo alcuni esempi; la lista delle inutilità create dalle norme e (spesso, e peggio) dalle circolari può essere facilmente allungata. Ricordiamo che nel 1994 il ministro Tremonti varò un corposo provvedimento di semplificazione normativa: qualcuno rammenterà, a esempio, la soppressione degli elenchi clienti fornitori, del repertorio della clientela e di altre "usanze" del nostro sistema prive di senso. Oggi sarebbe il caso di fare la stessa cosa per quanto riguarda la prassi amministrativa. Tagliare le cose inutili significherebbe per le imprese non solo risparmiare costi, ma soprattutto risparmiare risorse da dedicare al lavoro "vero".

28 settembre 2009
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