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Così l'Italia si allontana dai criteri europei

di Marina Castellaneta

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28 settembre 2009

Il Ddl n. 1440 rischia di allontanare l'Italia dal quadro disegnato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di durata ragionevole dei processi. Prima di tutto perché è stabilito che un procedimento ha una durata ragionevole se si svolge entro 6 anni (con la possibilità di aggiungere un ulteriore anno in caso di rinvio). Una scelta non in linea con la posizione di Strasburgo che ha ormai chiarito che la ragionevolezza della durata va calcolata caso per caso, senza aderire a un termine fisso, valido per ogni procedimento. Per la Corte, infatti, nel valutare se è stato violato il diritto alla durata ragionevole del processo, garantito dal l'articolo 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo, è necessario utilizzare parametri come la complessità della causa, il comportamento delle parti e dell'autorità giudiziaria, senza poter fissare in via preventiva il tempo considerato ragionevole.

Le nuove regole, invece, introducono un filtro in partenza, determinando a priori la durata ragionevole, dalla quale i giudici chiamati ad applicare la legge non potranno discostarsi. Questo vuol dire che saranno escluse in modo automatico dalla possibilità di ottenere un indennizzo le istanze relative a processi semplici che durano meno di sei anni, che invece da Strasburgo potrebbero essere considerati in contrasto con il principio della durata ragionevole.

La Corte poi ha precisato che nei casi prioritari, in ragione degli interessi in gioco, i giudici devono garantire particolare celerità nella conclusione del processo. In questi casi, la Corte si allontana dall'approccio globale e ritiene che sia stata commessa violazione anche se i procedimenti durano meno di due anni per grado di giudizio.

Di conseguenza, se le modifiche impediranno la richiesta di indennizzi in tutti i casi in cui i processi non superano 6 anni si potrebbe verificare una violazione dell'articolo 13 della Convenzione europea che garantisce il diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo. È invece conforme alla prassi di Strasburgo la scelta di escludere richieste di indennizzi nei casi in cui sia lo stesso ricorrente con il suo comportamento ad aver causato un ritardo.

Quanto alla liquidazione del l'indennizzo, il Ddl 1440 inserisce nuove modalità di calcolo, imponendo al giudice di tenere conto del valore della domanda presentata nel corso del processo durato troppo a lungo. Occorrerà chiarire il significato di questa nozione, la cui lettura dovrebbe aderire a quanto stabilito da Strasburgo. Per i giudici internazionali, infatti, è necessario tenere conto della rilevanza della causa per la persona interessata e, al di là del valore economico, riparare il danno morale derivante dalla durata dei processi aumentandolo di 2.000 euro se la posta in gioco è considerevole come nelle «cause concernenti il diritto del lavoro, lo stato e la capacità delle persone, le pensioni o i procedimenti particolarmente gravi relativi alla salute o alla vita degli individui».

Non è poi in linea con la Convenzione, la riduzione del l'indennizzo fino a un quarto nei casi in cui il procedimento «cui la domanda di equa riparazione si riferisce è stato definito con il rigetto delle richieste del ricorrente». Per Strasburgo, infatti, non conta come si conclude la causa. Nella sentenza del 10 novembre 2004 (Pizzati contro Italia), la Corte ha precisato che «il risultato del procedimento nazionale non ha alcuna rilevanza ai fini del danno materiale subito a causa della durata del procedimento».

28 settembre 2009
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