Sembrano assai lontani i tempi in cui l'asse politico della Repubblica ruotava intorno all'equilibrio fra laici e cattolici, o se si preferisce fra Stato e Chiesa. Non che mancassero talvolta motivi di frizione o di contrasto, ma si ricomponevano sempre nel segno di un principio di fondo: l'autonomia della politica, ossia la laicità degli organi istituzionali, da cui derivava la miglior garanzia per la libertà religiosa, nel rispetto reciproco. La storia della Democrazia Cristiana, anche nel suo rapporto con le forze politiche non cattoliche, ha insegnato molto al riguardo. Peccato che pochi oggi abbiano voglia di riflettere sulla lezione del passato. Servirebbe almeno a non commettere clamorosi errori. E a non infilarsi in singolari contraddizioni.
Bisogna ammettere, infatti, che non capita tutti i giorni che un incontro fra il presidente del Consiglio e il cardinale segretario di Stato sia annullato per motivi di opportunità. Dietro questo incidente non ci sono questioni di principio o scelte politiche scomode. A Palazzo Chigi non agisce un manipolo di anti-clericali stile Podrecca. Al contrario, questo governo è molto attento al punto di vista della Chiesa: qualcuno pensa che lo sia fin troppo. Le manifestazioni di devozione non si contano. Eppure proprio questo governo e questo premier subiscono gli effetti di uno strappo lacerante con il mondo cattolico. Uno strappo che sarà assai difficile ricomporre, nato com'è da un desiderio di vendetta e di rivalsa contro il direttore del giornale cattolico «Avvenire», il quotidiano della Cei, che si era permesso di criticare lo stile di vita del presidente del Consiglio sotto il profilo morale.
Non dubitiamo che Vittorio Feltri, il direttore del «Giornale» dalla cui penna è partito il linciaggio del collega di «Avvenire», ha agito di propria iniziativa, tanto che Berlusconi ha dovuto affrettarsi a prendere le distanze. Ma è difficile immaginare un rovescio più imbarazzante per le fortune politiche del premier (il cui fratello è l'editore del «Giornale»). Proprio nel momento in cui Berlusconi – grazie soprattutto all'inesauribile mediazione di Gianni Letta - stava per stringere la mano al cardinal Bertone, suo buon amico in Vaticano, nella speranza di ottenere prima o poi un'udienza dal Papa e ricavarne una sorta di assoluzione per le recenti vicende boccaccesche, ecco che il castello di carte rovina al suolo.
È uno scivolone politico che formalmente nasce in redazione, ma le cui conseguenze sono insondabili. Il rapporto con il mondo cattolico è troppo importante per questo presidente del Consiglio e questa maggioranza. E solo un grave errore di sottovalutazione poteva indurre a credere che la Cei, ossia la Chiesa italiana, avrebbe rinunciato a difendere il direttore del suo giornale, colpito sul piano personale. I vescovi, com'era prevedibile, hanno considerato rivolto a loro l'attacco di Feltri. E Berlusconi paga il prezzo delle polemiche. Per la buona ragione che la strategia del "colpo su colpo" può essere utile per gli attacchi giornalistici, ma rischia di essere devastante nei suoi risvolti quotidiani per un uomo di governo. Trasmette un'idea di affanno, un clima da stato d'assedio.
È molto pericoloso infangare i dissidenti sul piano personale, specie se sono rappresentanti della libera stampa e come tali hanno il diritto (forse anche il dovere) di criticare, quando è il caso, il detentore del potere politico. Proprio partendo dalla premessa giusta che la "privacy" di una personalità istituzionale non equivale a quella di un comune cittadino.
Visto che non è ancora arrivato all'appuntamento con il suo 25 luglio, Berlusconi è senza dubbio il primo a non volere un'atmosfera da ultima spiaggia, fatta di ritorsioni e di rappresaglie: sarebbe esiziale per il suo governo.
Perciò, da oggi, farà meglio a rileggere la storia del dopoguerra per ritrovare al più presto il senso dell'equilibrio e della moderazione.