Prima la riforma del finanziamento delle università, ora i nuovi criteri per razionalizzare la formazione degli insegnanti. C'è un piccolo cantiere di riformismo nel governo che questa estate non si è fermato. Lo dirige il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini. Con l'inesperienza dei suoi 36 anni, ma non senza determinazione e pragmatismo. Agli esordi del governo Berlusconi pochi ci avrebbero scommesso. Politici ben più esperti erano usciti con le ossa rotte da Viale Trastevere. E i tagli da subito varati dal governo sulla scuola non hanno certamente aiutato la neoministra. Lei non si è persa d'animo. È stata attenta a non gettare benzina sul fuoco delle polemiche, ma non si è fatta bloccare dai frenatori. All'inizio dell'estate ha così vinto la scommessa del merito negli atenei e ora quella del numero chiuso nella formazione di nuovi insegnanti. Magari non sono la rivoluzione copernicana del federalismo fiscale. E avranno bisogno di tempo per essere pienamente attuate. Ma per quel piccolo mondo antico - e inefficiente - che è l'istruzione italiana sono innovazioni importanti. Gaetano Salvemini, uno che se intendeva, lo chiamava il «riformismo dei fatti».