«Voglio una Germania europea e non un'Europa tedesca», amava ripetere Helmut Kohl per tranquillizzare i partner allarmati dagli effetti della riunificazione. A distanza di vent'anni da quelle rassicurazioni e a undici anni dalla nascita dell'euro, Angela Merkel è stata chiamata dall'emergenza greca – prima vera crisi della moneta unica – a rendere conto delle promesse di Kohl. E la risposta è stata purtroppo incerta e balbettante, molto più orientata a una visione miope di Deutsche Europa che all'ampio respiro di una Germania europeista.
Non c'è dubbio che la prima responsabilità dei disastri delle finanze greche vada agli stessi politici di Atene (a prescindere dal consueto palleggio sulle responsabilità del "buco" tra l'attuale premier socialista George Papandreou e il predecessore conservatore Costas Karamanlis). Una volta preso atto dell'enorme debito greco e strappate tutte le promesse possibili su piani di austerità e riforme a Papandreou, è apparso però chiaro che i mercati scommettevano su qualcos'altro. Attendevano che l'Unione europea, e in particolare il suo "primo azionista" tedesco, varassero un piano credibile di aiuti, in collaborazione con il Fondo monetario internazionale per garantire la solvibilità del socio greco dell'euro in difficoltà. O, al limite, per guidare Atene con mano ferma nella delicata sbandata controllata di un default parziale.
Il club della moneta unica ha invece perso quattro mesi, lambiccandosi su quale strada prendere: prima sfogliando la margherita per decidere se dovessero intervenire i governi Ue o l'Fmi o addirittura un futuribile Fondo monetario europeo ancora in mente dei, per poi imboccare con troppa esitazione la ragionevole opzione di un intervento congiunto dei governi dell'eurozona e del Fmi. Le attenuanti per l'incertezza di Bruxelles e il balbettìo di Berlino si conoscono. Angela Merkel ha dovuto fare i conti con un'opinione pubblica che non vuole saperne di tirare fuori un euro per aiutare le dissolute cicale greche dell'eurozona e con i fucili puntati di Csu e partiti d'opposizione, pronti a cavalcare quello scontento.
Non ha aiutato poi a dare propulsione al tradizionale asse franco-tedesco un Nicolas Sarkozy che è parso spesso più preoccupato di non cedere le luci della ribalta a un potenziale accreditato futuro rivale per l'Eliseo, l'attuale direttore del Fondo monetario, Dominique Strauss-Kahn, che ad aiutare la Grecia. Né sono arrivati a Berlino memorabili impulsi da Silvio Berlusconi o da José Zapatero, anche se il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, non ha mancato di assicurare che l'Italia farà la sua parte, in quanto «non si può stare con le mani in mano quando sta bruciando la casa del vicino».
Quando il vertice dell'Eurogruppo è stato fissato il 10 maggio, giorno dopo le elezioni in Nord-Reno Vestfalia, è apparso chiaro a tutti di quanto l'eurozona fosse dipendente dalle scadenze elettorali di frau Merkel. Dando così su un piatto d'argento la ghiotta opportunità alla speculazione di scommettere per altre due settimane su un default della Grecia. Ieri poi la missione a Berlino del presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, e di Strauss-Kahn ha cercato di mettere un pezza a uno scenario già mal rattoppato, con l'annuncio di un piano triennale di 120 miliardi e l'impegno della Merkel a far varare aiuti tedeschi per 8,4 miliardi nell'anno. Ma intanto, Standard & Poor's ha declassato, dopo Grecia e Portogallo, pure la Spagna, a dimostrazione di quanto il contagio del morbo greco si stia allargando.
Di fronte al rischio pandemia, i ritardi dei soccorsi europei, e in particolare dell'ambulanza tedesca che avrebbe dovuto guidarli, sono stati stridenti in questa crisi. Nessuno chiedeva alla Merkel di suicidarsi politicamente o di votarsi a un cieco europeismo. Ma di prendere atto e spiegare ai propri elettori che la Germania, con il suo ampio surplus commerciale per il 63% dovuto all'export nell'eurozona, qualche importante beneficio lo trae dal mercato unico. E qualche prezzo lo può pagare senza traumi per preservare la stabilità dell'euro. Invece, la cancelliera ha scelto la politica di normale cabotaggio. È mancato il colpo d'ala, quella leadership dimostrata da Kohl quando fortemente volle la parità del marco per la Germania Est e l'entrata dell'Italia nella prima tornata dell'euro, a dispetto di un'opinione tedesca fortemente contraria a entrambi gli eventi. Altri tempi, si dirà.
Theodore Roosevelt diceva che «la leadership è l'arte di far fare agli altri quello che tu vuoi, perché vogliono farlo». Alla Merkel è mancata questa capacità di peersuadere i tedeschi e forse anche di formulare una chiara volontà. Un peccato per la Germania, un grave handicap per l'Europa nell'epicentro di una seria crisi.

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