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IL FUTURO DEL WEB / Internet tra hippy e dittatori

di Luca De Biase

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29 Aprile 2010

Nel canovaccio di una pièce interpretata nelle piazze seicentesche di Francia e Italia, si raccontava di un marito tradito accusato dell'assassinio della moglie che si difendeva dichiarando: «Non sono stato io a ucciderla. È stato il coltello!». La gente rideva. Anche perché riconosceva immediatamente il paradosso: una tecnologia non è responsabile e non determina le azioni delle persone che la usano. E allo stesso modo si potrebbe ridere dell'idea che internet determini libertà, solidarietà e pace. Invece, per ricordarci l'aspetto paradossale di quelle idee, c'è bisogno di interventi come quello di Evgeny Morozov, pubblicato sul Sole 24 Ore di martedì scorso. Perché?
Non è insensato che i primi passi di internet siano stati mossi anche in ragione di convinzioni ideologiche. Perché internet non è una qualunque tecnologia. È una tecnologia di rete che, come insegna la cosiddetta "legge di Metcalfe", ha un valore che cresce esponenzialmente con il numero dei suoi utenti. È una legge che si applica al fax, al telefonino, a Windows, alla piattaforma iPod-iTunes, alle apps dell'iPhone, a Facebook: a tutte le tecnologie che servono in quanto sono utilizzate da molte persone e che valgono poco se sono in pochi a usarle. Conseguenza: chi propone per la prima volta una tecnologia di rete è sempre costretto a convincere molte persone ad adottarla in un momento in cui non ha molto valore. Come fa?
I grandi innovatori delle tecnologie di rete sono grandi visionari, nel senso che investono su una tecnologia perché vedono dove può portare. E sono capaci di raccontare la propria visione in modo che anche altri se ne convincano. Sicché, molti adottano quella tecnologia, anche se non funziona alla perfezione e ha ancora poco valore. I grandi innovatori, insomma, sono leader culturali oltre che tecnologici. Convincono le persone a contribuire al valore delle tecnologie che propugnano. Per questo, spesso, ricorrono alle armi retoriche dell'ideologia, della fascinazione, dell'illusione. Chi ricorda le metafore dei primi passi di internet, dalla ragnatela mondiale alla biblioteca di Babele, dalle autostrade dell'informazione alla città delle idee, avrà notato come i blog si siano diffusi anche sulla scorta del principio della libertà di espressione e i social network si siano affermati anche in base al simulacro dell'amicizia. E non c'è dubbio che molti visionari sono semplicemente idealisti col senso della concretezza, mentre i loro seguaci rischiano di trasformarsi in tecnofili col senso del fondamentalismo. Il rischio è che si formino bolle speculative e illusioni filosofiche.
Ma il fatto è che l'evoluzione delle tecnologie di rete non è quasi mai lineare. La visione degli inventori dei blog era quella di una società di persone che tengono un diario in pubblico: solo in seguito altri li hanno visti come nuovi strumenti dell'informazione. La visione dei fondatori di Twitter era quella di creare un sistema di sms via web: solo in seguito gli utenti hanno trasformato la piattaforma in uno strumento di microblogging evoluto in seguito in un metodo per segnalare pagine web e notizie o foto interessanti. Queste deviazioni dall'idea originaria possono avere più successo della visione iniziale. Derivano da una cultura vagamente hacker, nel senso che è basata sull'idea che un meccanismo si può smontare e rimontare conferendogli un senso e una funzione nuovi.
Ma il cambiamento decisivo avviene quando una tecnologia di rete diventa davvero popolare. Allora l'uso la modifica. Quando la società che ne fruisce tende a coincidere con la società nel suo complesso, il senso di quella tecnologia si confonde con l'insieme dei comportamenti e delle visioni delle persone. È allora che la cultura digerisce la novità. Fino a cessare di parlarne. Oggi non si parla più del telefono o della televisione commerciale come fonte di libertà. È allora che si può pensare al sistema nel suo complesso. E studiarlo con la consapevolezza della sua complessità.
In quel momento, si possono tirare le somme. E riconoscere le varie stratificazioni culturali che l'evoluzione della relazione tra una società e una tecnologia hanno sedimentato nella storia. Sicché si può tornare a leggere internet come un insieme: che contiene la cultura degli hippy della prima ora delle bacheche elettroniche, le preoccupazioni dei militari che hanno disegnato la logica dei pacchetti di dati, la fame speculativa dei finanzieri della fine degli anni Novanta, la repressione dei governo autoritari che trovano i dissidenti con le foto pubblicate su Flichr... Quando la società è su internet, internet è complessa come la società.
Ci resta una sintesi? Ci resta una caratteristica di internet che in effetti influisce sulla cultura? Forse sì. La rete è tanto malleabile, tanto pubblica, tanto standard da consentirci di poter vedere in ogni problema un'opportunità e in ogni critica un motivo in più per inventare una soluzione. Fino a che la rete è aperta, anche la società è potenzialmente un po' più aperta: ma solo se qualcuno coglie l'occasione. E agisce di conseguenza. Ma per capirlo, occorre una consapevolezza. La libertà si può descrivere in molti modi: ma di sicuro non è automatica.

29 Aprile 2010
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