Il voto in commissione slitta a inizio della prossima settimana ma la sostanza non cambia: il disegno di legge sulle intercettazioni rischia di essere un bavaglio per l'informazione. Il giro di vite non riguarderà infatti solo i pubblici ministeri che vedranno limitati i casi, i tempi e i modi per procedere alle intercettazioni, ma anche i cronisti che non potranno pubblicarle. È vero che la commissione Affari costituzionali del senato ha invitato la commissione Giustizia a rivedere la durate delle pene previste per i cronisti che violano la legge (se verrà approvata) e questo è un passo avanti. Ma il divieto di pubblicazione di atti processuali e la previsione del carcere - fino a sei anni nella formulazione originaria! - resta una fortissima limitazione alla libertà di stampa. È vero, nel passato ci sono stati abusi e sono state pubblicate intercettazioni che riguardavano la vita privata degli indagati e che nulla avevano a che fare con le inchieste. Ma da qui a passare a un disegno di legge che avrebbe impedito la pubblicazione delle intercettazioni degli uomini della protezione civile che sghignazzavano la notte del terremoto dell'Aquila ce ne corre. La tutela della privacy e il diritto all'informazione possono convivere. Gossip e notizie di interesse pubblico non sono sinonimo.