La lavagna di ardesia. Mi viene in mente quella quando il manager Apple mi affida per qualche minuto l'iPad e mi invita a testarlo. Low tech contro hi-tech, certo. Ma a scuola riempivo il nero con il gesso, tracciavo segni, costruivo equazioni. E anche qui il feeling è simile. La realtà (virtuale o reale a seconda dei punti di vista) si crea con la mia mano, con la strisciata fisica dei polpastrelli. Sono in fondo io a costruirla, non solo la macchina. E il trucco di Jobs, alla fine, è tutto qui. Scaldare l'iPad con l'interfaccia touch, un modo intuitivo per manipolare oggetti, aprire mondi, sfogliare pagine e guardare film. La simbiosi uomo-macchina e il connubio tra estetica e funzionalità sono le caratteristiche più immediate della «tavoletta» di Jobs. Che ora, finito lo show di San Francisco, aspetta al varco editori e progettisti per riempire di nuova linfa l'hardware.
Il mio primo viaggio con l'iPad è breve ma intenso: sfioro lo schermo e trovo cataloghi di libri, li compro con una pressione dell'indice, li organizzo in scaffali. Sfogliare il New York Times non è come sentire il frusciare della carta sotto i polpastrelli, ma l'effetto ottico è accattivante. L'ampiezza dello schermo, altra caratteristica evidente del prodotto, permette un utilizzo più gratificante di mail e agende: spostare un appuntamento è facile come trascinare il mignolo un po' più in là. «Non giudicatelo prima di averlo provato», spiegava Jobs durante la presentazione di San Francisco. Al termine del nostro piccolo test ci sentiamo di dargli ragione. Chi si avvicina all'iPad trova una tecnologia "accogliente", è invitato a rimanere, difficilmente si scoraggia. I limiti, certo, non mancano. I puristi avrebbero preferito avere una videocamera e l'assenza del multitasking rende un po' più complicata la navigazione. Ma nel complesso si può dire che Jobs abbia fatto centro ancora una volta.
Anche se poi, spegnendo il tablet mi torna in mente la vecchia lavagna di ardesia.
Meno duttile, ma funzionava anche senza pile.