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Obama parla alla rabbia Usa

di Carlo Bastasin

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29 gennaio 2010
Il presidente Barack Obama (AP Photo-Charles Dharapak)

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I sondaggi Pew mostrano che Obama ha perso consenso tra la classe media (con redditi annui tra 30mila e 70mila dollari) e tra gli anziani. Le letture analitiche indicano che l'amministrazione ha sollevato una reazione populista sia a sinistra sia a destra. La prima è stata suscitata dai salvataggi bancari e dell'auto che hanno ravvivato l'irritazione dei lavoratori bianchi contro «gli speculatori» e quelli che guadagnano anche quando il paese soffre. La seconda è cresciuta sulla base dei sentimenti contrari agli immigrati e ai disoccupati ed è stata innescata dal timore che la riforma sanitaria venisse pagata sottraendo risorse all'assistenza per gli anziani e ai lavoratori già assicurati.

Del presidente gli americani apprezzano l'intelligenza e l'eloquenza, ma nel 2009 ne hanno perso il contatto. Obama non è dotato caratterialmente del trasformismo di Reagan, del «mettiamo al primo posto la gente» di Clinton e tantomeno della «maggioranza silenziosa» di Nixon. Nulla di tutto ciò è nella natura di un intellettuale che organizzava comunità di solidarietà a Chicago.
In un paese polarizzato anche dalla necessità di semplificare questioni complesse, i media hanno abbandonato la presunzione di imparzialità e in generale il volume ha prevalso sul contenuto. Gli elettori indipendenti si sono spostati su una posizione di critica al potere. Obama sembra intenzionato ad accarezzarne il malcontento e a corteggiarne di nuovo la fiducia. Populismo? Una sbrigativa liquidazione del nuovo corso trascurerebbe il fatto che solo un linguaggio radicale è in grado di coniugare ogni riforma con la questione scomoda della giustizia, della chiamata di responsabilità, della punizione dei torti e del risarcimento dei danni.
Si può essere sorpresi dal fatto che il dolore di milioni di individui disoccupati e di famiglie impoverite a seguito di una crisi maturata all'interno di un sistema finanziario distorto dall'avidità dei suoi vertici non abbia trovato finora espressione politica. Tranne appunto un acuto senso di rivendicazione tra "noi" gente ordinaria e "loro" i generali che mandano a morire. Obama ha resistito alla tentazione fino alla sconfitta in Massachusetts e fino alla prova che i generali stavano finanziando con i ritrovati profitti modifiche convenienti alla legislazione.

Nell'antagonismo noi-loro, il "noi" finisce per essere troppo beneficiato. Nulla a che vedere con l'introspezione con cui i tedeschi ragionano sul Wir-Gefuehl, il senso dell'identità condivisa. La gente comune non è priva di responsabilità nella crisi. L'eccesso di indebitamento delle famiglie fa parte di una visione vitale che i cittadini americani condividono e che ha conseguenze collettive, internazionali o ambientali. Il populismo del "noi contro di loro" ostacolerà questa maturazione. Ma porrà comunque per una volta il tema negletto e tutt'altro che populista della responsabilità di chi ha abusato del proprio potere economico e - in un intreccio perverso - di quello politico.

29 gennaio 2010
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