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Partito unico della furbizia

di Guido Gentili

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29 gennaio 2010

Affiora qua e là, tra la legge Comunitaria 2009 che affronterà ora il terzo esame alla Camera e il consueto decreto milleproroghe, il cui nome di per sé evoca e conferma da anni una pratica sciagurata. Sì, ci sono elezioni alle porte, e il virus del populismo s'insinua rigoglioso nei palazzi dove si discutono e si producono le leggi dello stato.
Brutta storia. Non nuova, certo, ma pur sempre una brutta storia che travalica i confini del malcostume parlamentare episodico e che, in un momento cruciale a cavallo tra la fine della crisi e una ripresa gracile e incerta, torna a mostrarci uno dei volti peggiori della politica.

Si vota, si vota. Dunque, bando ai sottili distinguo. Il riformismo si fa piccolo piccolo, anzi evapora. È tempo di sub-emendamenti, di poche e convincenti parole. La finanza degli eccessi è o non è sotto tiro in tutto il mondo? Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha messo o no nel mirino le banche e le stock option dei manager?
La politica italiana, anche lei, taglia corto, ritrovando addirittura l'unanimità.

Un moto, uno scatto politico «né conservatore né progressista che supera e mantiene entrambe le posizioni» e che assomiglia molto all'«insorgenza populistica» descritta già negli anni Settanta dal grande politologo liberale Nicola Matteucci.
Passa così al Senato, col voto favorevole del governo, il sub-emendamento dell'Italia dei Valori che stabilisce un tetto massimo agli stipendi dei vertici delle società quotate in Borsa e vieta le stock option per i banchieri. Particolare curioso: il tetto è quello stabilito per il compenso dei parlamentari, alla cui carriera retributiva sono già agganciati gli stipendi della magistratura, la stessa che lascerà vuote le sedie (in polemica contro il governo) all'inaugurazione dell'anno giudiziario.

Intanto, con il leggendario Milleproroghe, si fa strada un nuovo condono edilizio, strumento per la verità tutt'altro che impopolare: a Ischia carabinieri e polizia sono stati presi a sassate la scorsa notte per una serie di sequestri immobiliari anti-abusivismo. Orologio elettorale alla mano, avanza, in perfetto assetto bipartisan, anche il minicondono per le affissioni abusive dei manifesti politici. Invece stop, per il momento, alla sanatoria per gli stranieri "in nero" che prevedeva l'annullamento delle sanzioni per i datori di lavoro che si fossero autodenunciati: un progetto trasversale fondato su una precaria idea di nuove cittadinanze.

Ovviamente, a partire dal caso dal tetto agli stipendi dei manager, si cercherà ora di azzerare, o quanto meno ridurre al minimo, il sub-emendamento passato al Senato. Ma come si è detto sarebbe sbagliato derubricare l'episodio a incidente parlamentare occasionale. Dall'Italia dei Valori, che ha nei suoi geni un giustizialismo (sociale, oltre che giudiziario) tanto appuntito quanto demagogico, ci si può attendere un discorso centrato sul mercato e i "privati" che ingoiano lo stato e i suoi inermi cittadini e lo slogan sulla «privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite». Diverso, all'opposto (passando per le incertezze del Pd), il caso del centrodestra. Che aveva cominciato con l'idea di "abrogare" la cultura del Sessantotto e si ritrova a barcamenarsi tra l'appoggiare un emendamento del partito di Antonio Di Pietro ed una serie di distinguo tra «equità retributiva e regole di mercato», finanza ed etica, che sembra obbedire più alla necessità tattiche del momento (elettorale) che a una rigorosa riflessione, in termini autenticamente liberali, su un tema decisivo che pure andrebbe fatta, ma senza intenti punitivo-giustizialisti e colpi di mano nelle aule parlamentari.

È una brutta storia che speriamo venga archiviata presto. Per fortuna, almeno, sappiamo che dopo quelle del 21 marzo prossimo non ci sono altre scadenze elettorali fino al 2013. Contiamo da qui ad allora su emendamenti un po' meno inutilmente corsari e più utilmente ragionevoli ed efficaci.

29 gennaio 2010
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