La rigorosa analisi della Ragioneria Generale dello Stato sull'andamento della spesa previdenziale nei prossimi decenni si presta a una lettura in chiaroscuro: mentre infatti la sostanziale "sostenibilità finanziaria" di lungo periodo del sistema ne esce confermata, si scorgono ombre sulla sua "sostenibilità sociale".
La conferma della sostenibilità finanziaria risulta dalla relativa stabilizzazione, almeno nel medio-lungo termine, della spesa in rapporto al Pil e da un sostanziale equilibrio tra le entrate contributive e le uscite per pensioni (al netto della spesa assistenziale); le ombre sulla sostenibilità sociale riguardano l'adeguatezza del livello delle prestazioni.
Il collegamento tra i due aspetti è evidente: si può sempre migliorare l'adeguatezza delle pensioni alzando le aliquote a carico dei lavoratori attivi oppure creando disavanzi che le generazioni giovani e future saranno chiamate a sanare. Per contro, almeno in teoria si potrebbe facilmente difendere la sostenibilità finanziaria abbassando il livello delle pensioni.
È compito della politica cercare un equilibrio tra questi cardini del sistema previdenziale, ma affinché tale equilibrio sia accettabile, gli oneri a carico delle generazioni future non possono essere troppo superiori a quelli a carico delle generazioni che oggi percepiscono i benefici pensionistici.
Le riforme, sin dai primi anni '90, sono state ispirate dalla necessità di ripristinare gli equilibri finanziari e di ridurre sia le disparità di trattamento, sia le distorsioni a favore del pensionamento anticipato. Ciò ha comportato una riduzione della precedente generosità, evidente sia nel pensionamento di anzianità (che implica una scarsa correlazione, a livello individuale, dell'ammontare della pensione con i contributi versati e con l'età al pensionamento) sia nella "formula retributiva" - che portava (e ancora porta, per effetto della lunga transizione), a pensioni pari al 70-80% dell'ultima retribuzione per anzianità contributive tra i 35 e i 40 anni. Inoltre, i lavoratori con le carriere più dinamiche (solitamente i più "ricchi") beneficiavano, con l'aggancio della pensione ai redditi - più elevati - degli ultimi anni di un generoso trasferimento a loro favore dalle casse pubbliche, e quindi dagli altri contribuenti. Una generosità "paradossale" si accompagnava dunque agli squilibri finanziari.
Questo sistema è stato profondamente modificato con l'introduzione del metodo contributivo, che - come conferma l'analisi della Ragioneria - porterà progressivamente a tassi di sostituzione molto più bassi, soprattutto per i giovani e per i lavoratori autonomi. Di qui, per l'appunto, nascono le preoccupazioni sulla sostenibilità del sistema dal punto di vista sociale.
Siamo dunque di fronte a un pendolo che oscilla, ora a favore di tagli, e perciò degli equilibri finanziari, ora a favore di nuove elargizioni, scarsamente compatibili con il mantenimento del metodo contributivo, e perciò della sostenibilità finanziaria?
Questa concezione va in realtà respinta per una serie di ragioni, che inducono a mantenere ferma la rotta verso l'applicazione piena del metodo contributivo.
Anzitutto, la formula contributiva induce automaticamente a prolungare la vita lavorativa, eliminando le distorsioni a favore del pensionamento anticipato implicite nelle pensioni retributive, in particolare di anzianità. In secondo luogo, la previdenza integrativa, oggi scarsamente popolare a seguito della crisi finanziaria, potrà sopperire a una parte della riduzione dei tassi di sostituzione del pilastro pubblico. Infine, le iniquità e le distorsioni della formula retributiva, cancellate dal sistema contributivo, erano socialmente tollerabili soltanto perché relativamente poco percepite.
La sostenibilità sociale del sistema pensionistico non si ottiene elaborando una formula magica che consenta di pagare buone pensioni anche quando l'economia, e in particolare la produttività e il mercato del lavoro, hanno andamenti di lungo periodo del tutto insoddisfacenti. La vera formula magica (che, a ben vedere, è solo frutto di ragionevolezza e buon senso) consiste nel riuscire a ricreare condizioni di ragionevole crescita della produttività e del prodotto che può essere distribuito.
Ciò implica, in primo luogo, una vita lavorativa più lunga, in sintonia con quanto sta avvenendo in tutti i paesi avanzati, e una netta separazione tra pensioni per i lavoratori "normali" e sussidi, da porre a carico della fiscalità generale, per chi non è stato fortunato e non ha potuto avere una vita lavorativa continua. Ogni altra soluzione sa di dubbia alchimia, e fa presagire uno scenario in cui giovani e anziani, lavoratori e pensionati continueranno ad azzuffarsi per strapparsi l'un l'altro pezzi di una torta comunque troppo piccola.