La metà del territorio italiano – fra cui regioni come Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Sicilia – non applicherà subito il decreto legge del governo che liberalizza i lavori di manutenzione straordinaria in casa, eliminando il ricorso alla denuncia di inizio attività. Le norme regionali «più restrittive» bloccano la deregulation. Per gli abitanti dell'altra metà d'Italia, non sarà più necessario attendere i 30 giorni (e le mancate obiezioni del comune) dalla data di presentazione della dia prima di cominciare gli interventi. Tra i lavori di manutenzione straordinaria si possono ricordare, a titolo di esempio, la creazione di nuovi servizi di bagno o cucina, l'installazione di pannelli solari, la riverniciatura di facciate.
I professionisti sono preoccupati per il rischio che si abbassino gli standard di sicurezza in un paese che già soffre non poco di dissesti e abusi. Il mondo delle imprese plaude al provvedimento ma è preoccupato per un'applicazione ristretta. I cittadini proprietari – che risparmierebbero almeno i mille euro del valore di una dia – apprezzano il principio.
Il rischio di un bis del «piano casa» c'è. Quattro sono le vie per scongiurarlo subito.
L'Italia non ha bisogno di altre liti e di uno spettacolo desolante come è quello del piano casa, dove le istituzioni (governo, regioni, enti locali) viaggiano in ordine sparso, le une contro le altre, senza trovare il bandolo della matassa che pure l'accordo del 1° aprile 2009 governo-regioni aveva srotolato.
Le quattro strade per evitare un nuovo disastro e un nuovo spezzatino si possono percorrere anche tutte insieme. L'importante è avere la volontà politica di cantare in un coro e non di mettere insieme solo le stecche.
Molto potrà fare la via parlamentare, cioè la correzione del decreto legge in sede di conversione. Per evitare strappi capaci di produrre solo confusione e altri rallentamenti basterebbe che maggioranza e opposizione si siedessero allo stesso tavolo – magari quello deputato della commissione parlamentare competente – per bilanciare i due interessi degni di tutela: snellimento burocratico con la riduzione delle carte e controlli sulla sicurezza.
Interessante la proposta della responsabile Pd in commissione ambiente della Camera, Raffaella Mariani. «Coinvolgiamo gli ordini professionali – dice – nell'elaborazione di linee-guida che siano utili ai comuni e ai cittadini». È solo un esempio di come le distanze possano tradursi in collaborazione.
La seconda via è che al tavolo si siedano i nuovi governatori con l'esecutivo. Il «metodo Fitto» che ha pagato sugli ammortizzatori sociali. Non è indifferente che le strutture amministrative di tre regioni rosse dotate di strumenti legislativi come Emilia, Toscana e Umbria abbiano reagito al decreto non con un muro, ma con una disponibilità. La deregulation non viene considerata da nessuno come il diavolo: è una buona base di partenza per arrivare a un accordo che consenta di estendere l'applicazione del decreto, sia pure con i giusti correttivi concordati.
La terza e la quarta via attengono alle singole regioni: che diano un'interpretazione non restrittiva e quindi non conflittuale delle proprie leggi rispetto al decreto legge. Oppure che innovino le proprie leggi, adeguandosi, a modo loro, al principio statale.