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Certo, su fronti particolarmente caldi come l'Afghanistan e l'Iran questo metodo determina lentezze che l'unilateralismo permette di evitare e che possono essere sfruttate per erodere il consenso attorno a un leader tanto riflessivo. Ma anche qui concertare l'aumento dell'impegno militare in Afghanistan costruendo allo stesso tempo la prospettiva di un più rapido ritorno a casa, così come ottenere l'assenso di Russia e Cina sulle sanzioni all'Iran sono risultati non da poco e stanno arrivando.
Insomma, posso solo concludere da dove ero partito, e cioè dall'invito a una maggiore coerenza da parte di chi oggi fa sue delusioni e critiche che presuppongono l'opposto di ciò che aveva richiesto e predicato sino a ieri.
Ne prendo atto quando esse vengono da quanti, avendo condiviso l'unilateralismo, prendono le distanze da un presidente che non lo pratica. E aggiungo che io stesso ho delle critiche nei suoi confronti. È vero infatti che ora deve far passare la riforma sanitaria, ma dovrebbe affrettare il passo nelle promesse riforme delle attività finanziarie, che nel suo paese sembrano godere di una perdurante immunità, ben difficile da sopportare per i tanti che continuano a soffrire per la crisi economica ancora in corso. E magari ha anche ragione l'Economist quando scrive che dovrebbe sorridere ai vecchi amici dell'America non meno di quanto sorride ai suoi nuovi interlocutori.
Altro è questo, però, altro è parlare di Obama leader mancato o di crisi di identità di una presidenza incerta. Giudizi sommari senza fondamento.