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TRAGEDIE ITALIANE / Colpe che non si cancellano

di Miguel Gotor

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29 Novembre 2009

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Sfugge, infine, nel film che la principale responsabilità del terrorismo è stata quella di avere distrutto l'idea di politica come partecipazione collettiva e impegno personale, costituendo una delle premesse del lievitare dell'antipolitica di oggidì che ha consentito il lungo prevalere delle forze più conservatrici: o noi, o lo schifo di oggi, sembrano dirci; noi abbiamo perso e lo accettiamo, ma voi ci fate ribrezzo lo stesso e vi trascineremo nella nostra sconfitta senza riconoscere un briciolo delle ragioni di quanti allora ci hanno combattuto in nome della democrazia e del rispetto della convivenza civile. Al massimo abbiamo torto entrambi.

Chi allora non c'era e si reca al cinema non può capire come avvenne che un'esigua minoranza si sia arrogata il diritto di distruggere un lievito di cambiamento a forza di colpi di pistola alle spalle, pistole che continuano a rappresentare l'unica voce, trent'anni dopo, per l'assordante e disertore silenzio degli altri, della maggioranza che pure c'era e quelle pistole ha scelto di non prendere, senza però riuscire a esserne pubblicamente orgogliosa.

Perché qui sta un altro triste paradosso di questa storia. È incredibile che oggi sia lasciato ai figli delle vittime di quella violenza, da Mario Calabresi a Giovanni Moro a Benedetta Tobagi, l'onere di ricordare che gli anni 70 non sono stati solo bombe e morti, stragi e piombo, ma anche diritti civili, speranze, partecipazione, allargamento democratico, l'ultima modernizzazione di senso progressivo vissuta da questo paese in settori nevralgici come la magistratura, gli ospedali, la scuola, il lavoro, i sindacati, la polizia, la Chiesa, i rapporti famigliari, i diritti della persona.

Un processo di trasformazione che il terrorismo ha traumatizzato affogando nel sangue la cultura, le intelligenze e le speranze riformatrici di questo paese.

E gli altri, la maggioranza? Gli altri vanno al cinema e quando tornano a casa si possono sempre ristorare leggendo l'ultimo libro di memorie di Segio, oscenamente intitolato Una vita in prima linea, il cui esergo è dedicato ai figli dei suoi compagni di battaglia affinché «non gli venga mai meno la certezza che i loro genitori sono state persone buone e leali»; se fosse un film, sarebbe un B-movie dell'orrore, ma purtroppo è la storia d'Italia, i suoi titoli di coda.

29 Novembre 2009
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