«Futuro», parola più che mai ricorrente. Perché è nella logica delle cose, da che mondo è mondo, che si guardi al futuro, nell'umana speranza che sia migliore del presente. Comunque. C'è un padre che può augurare a un figlio un futuro peggiore? Si può immaginare di rassegnarsi a vivere in un paese, qualunque esso sia, che rattrappisce con il passare del tempo?
A parte legioni di sibille, indovini e futurologhi da bar, in ogni tempo, dall'epoca dei profeti, stuoli di filosofi, scienziati e brillanti intellettuali d'ogni campo del sapere si sono occupati del futuro. Guarda caso, proprio nel 2009 ricordiamo i cent'anni del manifesto del Futurismo mentre nei cinema si proietta Segnali dal futuro, ennesimo della serie fantascientifica. Di recente, ha fatto discutere Il cigno nero, libro di Nassim Nicholas Taleb, operatore di borsa, docente di Scienze dell'incertezza negli Usa e fiero sostenitore della prevalenza dell'improbabile.
Anche la politica, nelle sue accezioni e latitudini più larghe, si interroga da sempre sul futuro. L'Italia non fa eccezione. Anzi, proprio in quest'autunno tanto teso, il futuro è più che mai presente. È molto attiva la fondazione Farefuturo, che fa capo al presidente della Camera Fini e che sul web appena ieri ha messo in rete il contributo di dodici romanzieri sul tema "La politica che vorrei" per iniziare «a ragionare (sognare) con spirito visionario». Lo stesso Fini ha già annunciato la pubblicazione del suo libro Il futuro della libertà, foriero di nuove scosse. Sta per esordire ItaliaFutura, il think tank che fa capo a Luca Cordero di Montezemolo che intende «promuovere il dibattito politico e civile sul futuro del paese».
Ma al centro della politica, oggi, c'è un passato-presente-futuro che si chiama Silvio Berlusconi e due date (6 ottobre, sentenza della Corte costituzionale sul Lodo Alfano e 21 marzo 2010, elezioni regionali) a fare da spartiacque. Questo è il punto, anzi la linea. Sosteneva lo scrittore Ennio Flaiano, impareggiabile scarnificatore dei tic italiani, che in Italia la linea più breve tra due punti è l'arabesco. Ecco, al netto degli arabeschi e dei giochi di specchi sul tempo che verrà, la posta in gioco ha, semplicemente, un nome e un cognome.
Del futuro, suo personale e politico in generale, Berlusconi ha una granitica opinione. «Saremo qui per sempre», ha esclamato domenica a Milano. Il suo, più che un futuro, è un presente che si autorinnova e si allarga nel tempo. Giorno dopo giorno, sondaggi alla mano, in una guerra di posizione difensiva e insieme offensiva.
Ma così facendo può perdere il senso della sua stessa sfida prospettata agli elettori che l'hanno fatto vincere. «Cavaliere, ci stupisca», ho scritto subito dopo la grande vittoria delle elezioni 2008. E prima della pausa estiva 2009, l'invito a un «rimboccarsi le maniche pragmatico che sappia anche prefigurare un orizzonte di crescita sostenuta» è stato rinnovato.
L'attuazione del programma di governo, cioè il futuro possibile di Berlusconi, è al centro della linea tra i due punti, 6 ottobre 2009 e 21 marzo 2010. Altrimenti, prevarranno gli arabeschi e si materializzerà l'evento improbabile, il cigno nero.
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