Fare le riforme, prima fra tutte quella del mercato del lavoro. Tito Boeri, professore di economia del lavoro alla Bocconi, non ha dubbi su ciò che serve.
Perché l'Italia cresce poco?
I motivi sono numerosi, ma mi sembra che Tabellini e Barba Navaretti li abbiano sintetizzati bene: spesa male indirizzata e specializzazione produttiva sbagliata.
Risultato?
Le imprese perdono competitività e il sistema non riesce a intercettare quote di mercato nelle aree in crescita: Medio Oriente, Nord Africa, Cina, India e Brasile. Si uscirà dalla crisi a velocità diverse. Dovremmo far di tutto per raggiungere il risultato minimo: crescere nella media Ue.
Come?
Bisogna fare le riforme. Cinque anni fa con la Fondazione De Benedetti avevamo organizzato un convegno che si chiamava «Oltre il declino». Da allora le cose non sono cambiate granché.
Qual è la priorità?
Il mercato del lavoro, cruciale nel promuovere un miglior utilizzo del capitale umano. Stiamo uscendo dalla recessione con circa 500mila cassintegrati, per lo più in deroga, a carico del contribuente. Si tratta nel 60/70% dei casi d'imprese e settori già in crisi prima, come il tessile, che rischiamo per anni di continuare a ricevere risorse dallo stato. Si può uscire da questa situazione offrendo un'assicurazione salariale, che garantisca a chi cambia lavoro una retribuzione non inferiore a quello che guadagnava prima della Cig. Costerebbe anche molto di meno allo stato.
Sulla flessibilità?
Oggi il 90% delle assunzioni si fa con contratti duali. I giovani, spesso più istruiti della media, devono invece entrare dalla porta principale e le imprese devono investire nella loro formazione. Perché questo avvenga, bisogna imporre alle imprese che vogliono assumere con contratti a tempo determinato o parasubordinato di pagare salari più alti. Una riforma a costo zero per lo stato.
Come attrarre talenti?
Un primo passo è introdurre un visto per studenti stranieri. Quelli che vengono da noi vivono nell'incubo del rinnovo del permesso di soggiorno e scappano appena possibile.
Serve una politica industriale?
Se è uno strumento che migliora il contesto produttivo, sì. Se, invece, serve a sprecare le poche risorse disponibili indirizzandole su priorità imposte dalla politica, no. Se l'esempio è l'ultimo decreto incentivi, non ci siamo. È un inutile spreco di risorse.