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In sostanza, non so se lo spirito originario dell'uomo, come di qualunque animale, si esprima nella sopraffazione e nel potere. Nella lotta per la sopravvivenza sì, nell'aggressione egoistica non credo. Di certo è proprio l'introduzione delle regole (e della più efficace forma politica di amministrazione delle regole: la democrazia) che ha permesso il passaggio da una società della sopraffazione a una società civile, con indubbi vantaggi per il benessere collettivo.
Il mercato non può da solo produrre principi etici. Il mercato "respira" i valori etici (o i disvalori) in cui la società crede, che le istituzioni praticano e difendono, che la classe dirigente (ma forse sarebbe meglio dire le diverse componenti della classe dirigente - la "classe dirigente" mi pare un astratto) praticano.
È stato scritto che occorre ripensare «il contratto sociale tra stato e mercato» (Michael Skapinker) ma francamente non so dire se occorra ripensare il contratto sociale stato-mercato. Per quel che mi riguarda, sono del parere che il mercato non si autoregoli, e lo dimostrano le recenti vicende della tempesta finanziaria internazionale. Per meglio dire: è possibile e auspicabile che in una società complessa come la nostra ci sia ampia facoltà di autoregolazione. La libertà è il sale della vita e anche dell'economia. Ma maggiore è l'autonomia concessa, maggiore deve essere la capacità dello stato di controllare ed eventualmente d'intervenire. Senza il bilanciamento tra due forze non c'èequilibrio.E salta tutto. Siamo arrivati infine alla questione dell'indipendenza della politica dall'economia. È evidente che finché dalla politica dipenderanno conseguenze economiche rilevanti (autorizzazioni, contratti e così via) e i politici o, per meglio dire, i pubblici amministratori saranno mediamente pagati molto meno degli operatori economici, il rischio di corruzione è elevatissimo. Quando si dà un enorme potere a persone economicamente fragili, i guai sono dietro l'angolo. Si possono evitare? Non è facile. Credo che l'educazione morale possa fare molto. Ma a parte questo, forse sarebbe bene trovare il modo di agevolare lo scambio di esperienze tra politica, società e mondo economico e creare le condizioni per un maggior equilibrio retributivo tra le classi dirigenti.
Come? Un contenimento dei guadagni più elevati, correlandoli ai risultati di creazione di valore nel medio-lungo termine, può essere un passaggio utile. Ma credo anche che una maggiore osmosi, una maggiore fluidità di posizioni di responsabilità tra pubblico e privato possa aiutare. Voglio dire: se un professore d'università è chiamato a ricoprire un incarico ministeriale e terminato questo va a dirigere un'impresa, una banca (sempre, ovviamente, che ne abbia le capacità, non gli "appoggi giusti") e poi magari torna nella pubblica amministrazione; se un meccanismo del genere potesse essere attivato, probabilmente ci sarebbero un po' meno avidità e corruzione in giro. Negli Stati Uniti mi pare che funzioni così. E funziona abbastanza bene.