Non capita tutti i giorni che il presidente della Camera, co-fondatore del partito di maggioranza, dica in piena campagna elettorale: «Sono affezionato al mio partito, ma non mi piace». Dove l'accento è tutto sulla seconda parte della frase. E non capita spesso che lo stesso presidente della Camera aggiunga, chiosando le sue stesse affermazioni: «Guardate che ormai lo hanno capito tutti (che non gli piace il Pdl, ndr)». Ed è abbastanza singolare che tutto questo avvenga mentre il medesimo partito è nel caos proprio a Roma, caposaldo di Alleanza nazionale prima della fusione con le forze berlusconiane.
Ancora non è chiaro come si concluderà la vicenda un po' farsesca delle liste elettorali. Ma il problema della lista civica che sostiene Polverini sembra già superato e quanto al cosiddetto "listino" mancherebbe solo una firma. Idem a Milano, dove saranno risolti i vizi formali che hanno messo in qualche difficoltà il presidente Formigoni e l'intera maggioranza. Per il resto non si vede la luce in fondo al tunnel.
La lista del Pdl nella provincia di Roma rimane esclusa, a meno che il tribunale amministrativo non escogiti una soluzione che finora non s'intravede. Quindi il danno per il centrodestra, dettato da varie insipienze, diventa più grave ogni giorno che passa. La vittoria della Polverini, probabile fino all'altro giorno, ora richiede una corsa in salita. Del resto, l'ipotesi di sanatoria attraverso una «leggina» è impraticabile perché richiederebbe un accordo generale fra tutte le forze presenti in Parlamento, altrimenti sarebbe un colpo di mano inaccettabile della maggioranza a favore di se stessa.
Vale anche la pena di sottolineare i punti di vista molto diversi che coesistono ai vertici delle istituzioni. Napolitano ha già detto che spetta solo ai giudici dirimere la controversia. Il presidente del Senato Schifani si augura invece, sfidando le ovvie polemiche, che «la sostanza prevalga sulla forma». È evidente che la prima e la seconda carica dello Stato non la pensano allo stesso modo. Quanto alla terza, ossia Fini, tace sul punto di merito ma, come abbiamo visto, non si tira indietro quando si tratta di muovere pesanti critiche al Pdl.
Sembra difficile che si possa andare avanti così ancora per tre anni, tanti ne mancheranno alla fine della legislatura all'indomani del voto regionale. Anche perché la Lega si prepara a raccogliere il frutto di una più salda organizzazione e compattezza interna rispetto all'alleato berlusconiano. La sera del 29 marzo i leghisti potrebbero essere il primo partito al nord, mentre il Pdl rischia di scoprirsi assai più vulnerabile del previsto nel centro-sud. Sotto questo aspetto lo psicodramma del Lazio equivale a un passaggio cruciale. L'affermazione della Polverini può salvare per un po' i complicati e fragili equilibri del Pdl. La sua sconfitta, al contrario, finirebbe per accelerare la crisi strutturale di un partito che non piace nemmeno al suo co-fondatore e che da anni si regge solo sul carisma di Berlusconi.
Ne deriva che la battaglia in riva al Tevere ha ormai un valore nazionale che nessuno può sottovalutare. Il Pdl ha incassato una seria sconfitta sul tema del rispetto delle regole. Ora può aggravare le cose con una serie di errori dettati dalla paura. Oppure può dedicarsi a una dignitosa campagna con le liste superstiti. La partita è aperta, ma ci vuole intelligenza politica.