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POLEMICHE / Difendere il Mossad per difendere Israele

di Emanuele Ottolenghi

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3 Marzo 2010

La santimonia di quei censori d'Israele che si ergono a proteggerlo da se stesso raramente brilla d'onestà intellettuale. S'agghindano da amico preoccupato e lanciano strali pieni di livore mascherati da buoni consigli. Ma alla fine non riescono a celare il rancore. È il caso di David Gardner (Financial Times e Il Sole 24 Ore di sabato scorso).
Affidandosi a letteratura faziosa e spesso fantasiosa quali gli scritti di Avi Shlaim - lo storico di Oxford malato della stessa propensione alle filippiche contro Israele con l'aggravante di una parallela riluttanza a criticare le tirannie arabe di cui ha passato la vita a fare apologia - Gardner usa la scusa dell'assassinio a Dubai del terrorista di Hamas Mahmoud alMabhou per ricordare al lettore tutti i fallimenti del Mossad e per offrire un messaggio politico neanche troppo velato - i servizi farebbero meglio a far di punto, altrimenti tali avventatezze producono imbarazzi o peggio, veri e propri disastri politici.
In proposito Gardner cita la fantasiosa proposta di tregua trentennale che Hamas avrebbe offerto a Israele via re Hussein nel 1997 e che il fallito assassinio di Khaled Mashal avrebbe fatto naufragare. Ma la proposta non ci fu mai davvero. Solo la sicofantica adulazione di Shlaim nei confronti di un re sanguinario (per salvare trono e regno Hussein sterminò decine di migliaia di palestinesi durante Settembre Nero nel 1970) e la scarsa propensione alla verifica dei fatti da parte di chi cerca scuse per denigrare Israele permette una simile panzana.
Primo, la storia nota di ogni servizio segreto (una professione che si fonda spesso sulla violazione delle leggi di altri paesi) abbonda di fallimenti: i successi sono più spesso tenuti segreti e solo più tardi e solo in parte resi noti. Pensiamo soltanto alla guerra in Iraq o alla rivoluzione in Iran, la prima avvenuta grazie a informazioni sbagliate, la seconda avvenuta perché non anticipata dai servizi. Posto che Gardner abbia ragione, il Mossad è in buona compagnia.
Secondo, anche ammettendo che sia stato Israele a ordinare l'assassinio di alMabhou - e alcuni dettagli della storia sollevano qualche dubbio - cosa ci si aspettava? Immaginiamoci la scena. Immigrazione di Dubai agli assassini israeliani: «Nazionalita?». «Israeliano!». «Professione?». «Agente del Mossad!». «Scopo della visita?». «Assassinio di un terrorista di Hamas!». «Benvenuto a Dubai!».
Terzo, l'operazione è stata un successo. Il terrorista è morto e la squadra inviata per terminarlo è rientrata alla base sana e salva. Secondo la polizia di Dubai due sono fuggiti a bordo di un motoscafo in Iran, noto rifugio del Mossad.
Quarto, le operazioni di cui alMabhou era responsabile hanno subito un colpo: la penetrazione del network che ha portato alla sua morte ora lo condanna all'inerzia fino alla scoperta di chi ha tradito.
Quinto, alMabhou era un assassino e un criminale - che Dubai proteggeva insieme ai suoi contatti e alle sue operazioni finanziarie. Quando si degneranno Gardner e gli altri censori di fare la morale a questo amorale e dispotico principato?
E sesto, a un Israele cui si rinfaccia l'uso eccessivo della forza nel reagire agli attacchi dei suoi nemici - vedi Operazione Piombo Fuso su Gaza - si dovrebbe applaudire, non deprecare di aver preso a cuore tale critica e questa volta di aver eliminato una minaccia senza danno collaterale alcuno.
Il prematuro ricongiungimento di alMabhou con le vergini celesti non dovrebbe dunque causare siffatti rimbrotti salvo che in universo morale ribaltato.

* Emanuele Ottolenghi è senior fellow alla Foundation for Defense of Democracies

3 Marzo 2010
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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