C'è la Germania di Angela Merkel che annuncia di voler tagliare le tasse e di portare nel suo paese la vera rivoluzione della spesa. Consumi über alles, spendere, spendere, spendere e il paese si salverà. Una posizione tanto spiazzante da aver indotto i rappresentanti degli industriali a chiedere più attenzione alle compatibilità del bilancio pubblico.
Poi c'è l'Italia, dove il taglio delle tasse non si fa e dove si fatica a spendere e a investire; con l'impresa che chiede a gran voce una politica di riduzione fiscale e di rilancio della domanda. La contraddittorietà di queste posizioni è solo apparente: la Germania ha già investito moltissimo e ha una struttura industriale fondata su grandi gruppi, tecnologicamente molto avanzati. Finora Berlino ha pompato liquidità più che altri stati. Se l'industria mette in guardia lo fa perché teme rischi di sistema. In Italia -dove il debito è peggiore- l'industria è molecolare e ha avuto poco o nulla finora: non c'è stato il pompaggio di liquidità, ma solo il peggioramento inarrestabile dei conti e la chiusura progressiva di impianti. Se qui e ora l'industria chiede investimenti e tagli fiscali fa ciò che i tedeschi hanno già realizzato da mesi. Insomma non c'è un abito unico per tutte le taglie fiscali europee.