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Che cosa vuol dire libertà di stampa

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3 ottobre 2009

La libertà di stampa e espressione è un bene talmente prezioso che ogni manifestazione, assemblea e ricerca in suo favore è sempre benvenuta. La nostra Costituzione afferma e tutela il diritto all'informazione e al libero dibattito in toni forti, cari a uomini e donne che avevano ancora vivo nelle coscienze l'amaro della dittatura con le sue censure e le sue menzogne.

Ben vengano dunque oggi tutti coloro che, in nome della libertà di stampa, vorranno raccogliersi e dibattere. La Costituzione è inequivoca sul tema e onorarla onora tutti noi.
A patto, naturalmente, di ricordarsi che libero pensiero e libera informazione sono anche, soprattutto, dicevano i padri dell'illuminismo, sacrosanti diritti di chi non la pensa come noi, di chi da noi dissente e chi nega in radice la fondatezza delle nostre opinioni. Pensare che noi, e solo noi, abbiam ragione e che i nostri avversari siano la sentina di ogni vizio è il modo perfetto per fingersi libertari e comportarsi da intolleranti. È bene non dimenticarlo.

La libertà di stampa è oggi nel mondo bene fragile e raro. Dalla Russia alla Cina i giornalisti, i bloggers, gli scrittori, vengono perseguitati e repressi e spesso inutili sono le proteste del mondo. Malgrado i commenti a volte perfino petulanti di chi parla senza troppo conoscere il nostro paese, l'Italia non è una dittatura, né un covo di trame, censure crudeli, plumbeo silenzio. Il dibattito resta vivace al limite del chiasso, la saggistica effervescente, le università libere, nuove pubblicazioni partono in edicola e sulla rete.

Restano i nostri problemi antichi e recenti. Un'opinione pubblica a volte elitaria, lontana fin dai tempi della Rivoluzione napoletana del 1799 dalla gente comune. Giornali assai migliorati dal conformismo degli anni 50 che così bene Enzo Forcella denunciò lamentando i soli «1500 lettori» che contano, vale a dire i potenti, ma ancora troppo legati alle lobby. Una Rai, servizio pubblico, capace di attrarre audience imponenti ma che la politica, tutta, svilisce a microfono senza critiche, mortificando la professionalità di tanti colleghi. Una tv privata che il conflitto di interesse del premier rende elemento di divisione, dove negli anni prima del Berlusconi politico era stata soggetto di dinamismo e innovazione. Nuovi protagonisti, vedi Sky e internet, cui si nega di crescere a pieno diritto nel mercato.

Questi sono i mali dell'informazione italiana 2009 e nessuno è senza colpe. Il centrodestra per avere protetto l'ambiguo condominio media-politica, il centrosinistra per non avere risolto in 7 anni al governo il conflitto di interessi, anche riformando in senso liberale il servizio pubblico.

I gladiatori delle due fazioni non accetteranno mai questa analisi. Meglio per loro che tra Berlusconi e la D'Addario regina dei talk show non resti nulla, che l'acido fumo del populismo intossichi la Repubblica. Non così pensa chi ha davvero a cuore la libertà di stampa, perché cosciente che con essa svanirebbero la nostra stessa democrazia e civile convivenza. Nessuno di noi ha il monopolio della verità, in ciascun giornale e pensiero possono far capolino censure e distorsioni. Se l'ultima stagione dei media italiani ha visto l'insorgere brutale e arrogante di un giornalismo da gorilla beceri e intriganti, il rimedio è infine uno e uno solo. Che ogni giornalista, vada in piazza o no oggi, si ricordi della sua coscienza e non solo del portafogli o del plauso di un momento, che si ricordi delle ragioni ideali che l'han spinto da ragazzo o ragazza al mestiere e non dimentichi che il suo pubblico e i suoi avversari sono persone umane, da rispettare e difendere nei diritti e nella dignità.

3 ottobre 2009
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