C'è una demagogia bipartisan: quella del tetto di 274mila euro lordi l'anno alla retribuzione dei manager pubblici. Approvato due anni fa dal governo Prodi per rispondere alle spinte massimaliste interne alla coalizione e alla campagna contro gli sperperi della politica, è stato rilanciato ora dal ministro Brunetta e inserito in una nuova campagna: quella della massima trasparenza degli atti pubblici, a partire dagli emolumenti di dirigenti e consulenti. Ieri il regolamento è stato varato dopo un'estenuante mediazione tra ministeri, timorosi di dover rinunciare a esperti ben pagati per le incombenze più delicate.
A conferma della demagogia del tetto, il centro-sinistra lo lasciò sospeso nel limbo delle difficoltà interpretatative per mesi, mentre il centro-destra procede ora per deroghe sempre più larghe (dagli ambasciatori all'estero agli amministratori delle società controllate), ammettendo pure la possibilità di sospenderlo per tre anni.
Non sarebbe meglio uscire dalla retorica e abolire questo cappio lasciando anche al settore pubblico la possibilità di pescare buoni manager con retribuzioni non faraoniche, ma allineate al mercato?