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I professionisti una net-élite che cambia l'economia

di Carlo Carboni

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Gran parte delle professioni è stata protagonista della trasformazione tecnologica, sociale ed economica degli ultimi decenni. Come ha mostrato l'inchiesta sulle singole professioni condotta da Il Sole 24 Ore, anche quelle più tradizionali hanno sperimentato un cambiamento di interlocutori, mezzi e relazionalità. L'e-working ha aperto a nuove funzioni e opportunità e le esperienze raccontate dai giovani professionisti ci comunicano che accanto alla vocazione, al desiderio di autorealizzarsi come persona anche nel lavoro professionale, c'è, ora è più viva che nel passato, una maggior propensione al mercato e alla concorrenza. Secondo un'indagine Istat (2007), dopo «l'uso di conoscenze di rilievo» (73%), la principale attività comune alle professioni è «mantenere relazioni interpersonali» (69%), mentre, tra le attività di lavoro specifiche, le più importanti riguardano l'elaborazione e l'interpretazione delle informazioni (58%) e pensare in modo creativo (56%). Il loro imprinting è relazionalità, informazione, competenza.
Un libro aperto a metà
In Italia, il libro dei professionisti è aperto a metà e attende da tempo una pagina nuova in grado di indicare soluzioni agli ostacoli al libero dispiegarsi anticonformista di questo potenziale sociale professionale e di merito. Esso potrebbe innescare una maggiore mobilità sociale, in un Paese che ha bisogno di liberarsi di lacci e di zavorre parassitarie e di privilegio. Diversi professionisti ascoltati hanno sottolineato che le loro attività sono spesso soffocate dal pan-politicismo e dai difficili rapporti che i professionisti instaurano con l'interlocutore pubblico.
Nelle inchieste del Sole 24 Ore i protagonisti non hanno esitato a denunciare la dipendenza dalla politica e la necessità di imboccare più decisamente la strada della competenza, della concorrenza e della trasparenza, cioè la strada del merito in un mercato concorrenziale delle professioni. Tutto ciò evidentemente confligge con il filtro politico-corporativo imposto dai singoli Ordini professionali. Qualcuno, osservando uno strano andamento delle quote dei promossi negli esami di Stato professionali, si chiede se «non siamo una gerontocrazia insopportabile», dato che i giovani professionisti per ora hanno il magro destino di un lavoro parasubordinato, «a garzone» negli studi professionali, precario e, in molti casi, malpagato.
Secondo l'Istat (2007), l'89% dei professionisti si sente autorealizzato, ma solo poco più del 48% è gratificato nella professione a livello retributivo. Inoltre, i professionisti intellettuali sono più soggetti a stress (51,8%) rispetto a impiegati (24,1%) e ai lavoratori manuali (37,8%). In tutto il vecchio mondo sono stati soprattutto i giovani business professional a subire licenziamenti conseguenti alla crisi finanziaria. In breve, i meccanismi di esclusione messi in campo dai più "vecchi" continuano ad avere la meglio sulle deboli azioni di usurpazione messe in atto dai giovani. I maestri scarseggiano e ai giovani è centellinato l'accesso agli ascensori professionali.
Riforma degli Ordini
Il mondo delle professioni continua a riscuotere la fiducia degli italiani: circa la metà della popolazione riconosce merito ai professionisti (secondi solo agli imprenditori in questa speciale classifica, si veda Il Sole 24 Ore del 22 settembre). Perciò una riforma degli Ordini professionali sembra oltre che opportuna, matura. Al centro dovrebbe esserci l'apertura dei rubinetti per far affluire nuove forze di brain power giovanile nei mercati delle professioni. È in ballo l'esistenza di opportunità reali che favoriscano l'emergere di meriti giovanili tenuti per ora nascosti. Le "lenzuolate" di Bersani nel 2006 (tariffe, pubblicità e società professionali) erano apparse se non altro coraggiose e il discorso, rivisto, andrebbe ripreso anche come tema su cui far procedere un confronto tra governo e opposizione: anche in collegamento con l'abolizione del valore legale del titolo di studio, che circa l'80% degli italiani vede come misura necessaria per incrementare il ruolo del merito (lo sarebbe anche l'abolizione degli Ordini professionali per il 55% dei dirigenti intervistati nel Rapporto Luiss, 2008).
Nella giungla dei professionismi ci sono molte cose da affrontare, discutere, risolvere. Dai semiprofessionismi di massa da riqualificare alle questioni etiche associate al beruf (la chiamata) di cui Max Weber scriveva circa un secolo fa, a cosa significhi per le professioni la consapevolezza della loro alta qualificazione, della loro traenza, del loro nuovo ruolo di classi dirigenti in un paese europeo come l'Italia che intende realizzare una moderna democrazia di mercato. Si tratta di un gruppo importante che si interfaccia quotidianamente con cittadini, reti familiari e d'impresa, produttori e consumatori, stabilendo connessioni relazionali e professionali decisive per il sistema paese.
Occorrerebbe perciò un riformismo operativo per mettere a punto il motore delle professioni, un riformismo pragmatico che farebbe bene a tutto il paese, soprattutto in questo momento in cui stiamo percorrendo la strettoia che ci separa dalla fiducia nella ripresa in campo aperto. Non possiamo aspettare a braccia conserte: nella nuova fase dello sviluppo che si apre di fronte a noi, l'istruzione conterà di più e non di meno, al pari della comunicazione e dell'informazione. Il mondo economico, con il turbo tecnologico e finanziario ha definitivamente spostato l'accento dal labour power al brain power, il secondo area eletta delle professioni. Perciò la diffusione sul territorio di comunità professionali è il sale dello sviluppo che verrà anche nel nostro paese.

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