Martedì scorso il governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi, ha invitato le banche a rafforzarsi aumentando il patrimonio. Dovete agire subito con ogni misura disponibile, ha detto nell'incontro a porte chiuse con i banchieri alla guida dei principali istituti. Un minuto dopo è partita la caccia alle motivazioni effettive dell'intervento. Riguardava davvero l'intero sistema del credito? Oppure era una richiesta che, in realtà, aveva qualche destinatario specifico?
Certamente si pongono problemi di carattere generale. I primi segnali di miglioramento della congiuntura hanno pressoché archiviato l'incubo del crollo generalizzato e irrimediabile. Ma la ripresa è ancora fragile e c'è chi teme un rapido aumento delle sofferenze che, a sua volta, potrà determinare la crescita degli accantonamenti a fondo rischi, con effetti negativi sui conti delle banche.
I riflettori restano accesi sul Monte dei Paschi di Siena e sul Banco popolare di Verona. In passato erano due banche ricche della ricca provincia italiana. Oggi devono ritrovare l'equilibrio definitivo e fare i conti con una realtà ancora insidiosa. Su altri versanti, dopo le raccomandazioni del governatore, va dato conto della reazione pressoché immediata, sia pure indiretta, di Fabrizio Palenzona, vice presidente di UniCredit. «Dopo due aumenti di capitale fatti sul mercato – ha detto – il capitale di UniCredit è capiente».
Il commento di uno dei banchieri presenti all'incontro con Draghi è affidato al ricordo di un proverbio, secondo cui "la prima gallina che canta ha fatto l'uovo". Il secondo aumento di capitale UniCredit, in effetti, dev'essere ancora chiuso e il titolo azionario soffre non poco. Nelle prime quattro giornate di Borsa dell'ultima settimana il prezzo di riferimento è sceso da 2,133 a 1,95 euro, lasciando sul terreno quasi il 9% fino al rimbalzo di ieri, quando ha recuperato il 4% circa chiudendo a 2,02 euro.
La verità è che, come suggerisce Draghi, sia UniCredit sia Intesa Sanpaolo trarrebbero grande giovamento da un ulteriore rafforzamento patrimoniale. Certo il mercato azionario, e anche quello dei bond, è tornato a dare opportunità impensabili fino a poco tempo fa. Ma l'opportunità più ambita restano i fondi sovrani. Un paio d'anni fa erano i padroni del mondo. Poi sono crollati sotto i colpi della grande crisi e ne è stato celebrato con troppa rapidità il funerale. Oggi hanno ripreso forza. E, in particolare, è tornato a soffiare un vento favorevole dalla Cina.
Ci sono le condizioni affinché investitori finanziari cinesi possano giocare un ruolo importante? L'opinione prevalente è che si tratta di operazioni difficili da chiudere. Negli anni scorsi, infatti, dalla Cina hanno investito massicciamente in banche come Morgan Stanley, Fortis, Barclays. Il risultato sono state perdite davvero elevate. Una vera stangata, che ha fatto maturare la scelta di non investire più in campo bancario, se non quando si tratta di banche strategiche per la crescita in determinati paesi oppure settori industriali.
La verifica si avrà proprio nei prossimi giorni, in quanto è atteso l'arrivo in Italia di rappresentanti del fondo sovrano cinese più importante: il China investment corporation (Cic). Sono stati invitati dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. I dossier all'esame sono un discreto numero. Tra i più importanti vanno ricordati la Cassa depositi e prestiti, l'Eni e l'Enel. Passare dal dire al fare, tuttavia, non sarà così facile. Anche perché andrà superato il nervosismo cinese a livello diplomatico per le iniziative prese contro l'immigrazione cinese nel distretto di Prato.
fabio.tamburini@ilsole24ore.com