Non c'è dubbio che una più stringente regolamentazione delle attività finanziarie sia necessaria, dopo quanto è successo in questa crisi. Non c'è dubbio che occorra evitare i rischi sistemici di un mercato bancario caratterizzato da banche "troppo grandi per poter fallire". Non c'è dubbio che abbiamo assistito a remunerazioni di manager bancari fuori da qualsiasi logica, anche se lo stesso dovrebbe valere per manager di imprese non bancarie e soprattutto per imprenditori che hanno "estratto" valore dalle loro imprese fortemente indebitate. Tutto questo, tuttavia, non ci eviterà la prossima crisi. Perché stiamo discutendo di come evitare gli effetti della crisi passata e non delle sue cause. È come nel proverbio cinese, quello del saggio che, quando indica la Luna, lo stolto guarda il dito.
La crisi finanziaria globale si è manifestata attraverso i fallimenti di banche e si è propagata attraverso strumenti finanziari di dubbia natura. Ha affondato le sue radici nella mancanza di etica, come piace ricordare a tanti piccoli moralisti dell'ultima ora. Ma la crisi nasce essenzialmente dagli squilibri nei conti economici dei grandi paesi, originati da errate politiche economiche, volte a evitare recessioni e a prolungare indefinitamente una situazione insostenibile.
Le bolle speculative di questi ultimi dieci anni sono il prodotto di una ondata di liquidità riversata sui mercati dalla combinata azione del governo degli Stati Uniti sotto Bush e della Federal Reserve di Greenspan. In particolare, dopo l'attentato dell'11 settembre 2001, la politica fiscale americana è stata caratterizzata dal sostegno incondizionato alla domanda interna, dalla politica per l'acquisto della casa e dal finanziamento senza limiti delle guerre in Afghanistan e in Iraq.
Queste politiche sono state rese possibili dalla Banca centrale americana, che ha tenuto bassi i tassi d'interesse e aumentato la massa monetaria, col pretesto che l'assenza d'inflazione permettesse una politica monetaria poco ortodossa. L'obiettivo era quello di evitare una recessione che, dopo l'odioso attentato dell'11 settembre, avrebbe rischiato di degenerare in depressione e avrebbe messo in evidenza la vulnerabilità degli Usa, impegnati nella guerra contro il terrore.
È così che gli Usa si sono ritrovati, come durante la guerra del Vietnam alla fine degli anni 60, nella trappola dei disavanzi gemelli: un forte debito estero accompagnato da un crescente debito interno. Da questa situazione non potevano che nascere bolle speculative che presto o tardi sarebbero scoppiate in maniera rovinosa. Le innovazioni finanziarie, che tanto sono condannate oggi come causa di questa crisi, altro non sono che il prodotto di questi squilibri. La finanza si è industriata a conciliare gli squilibri dei pagamenti internazionali e ha elaborato nuovi strumenti, perché c'era una fortissima domanda di attività finanziarie alimentata dalla marea di liquidità.
Condannare oggi questi nuovi strumenti finanziari e i banchieri che li hanno escogitati è un buon alibi per non occuparsi della vera causa della crisi: gli squilibri nei pagamenti internazionali. Gli Usa devono riequilibrarsi, non diversamente di quanto viene chiesto di fare oggi alla Grecia. Si può chiedere agli altri paesi, alla Cina in particolare, di contribuire a questo riequilibrio aumentando la loro domanda interna, cosa che la Cina sta già facendo. Ma il peso principale del riequilibrio devono sopportarlo gli Usa, con una riduzione della spesa pubblica e/o un aumento delle tasse. E non è da escludere anche una sostanziale svalutazione del dollaro per un periodo relativamente lungo.
Non basta la scorciatoia della rivalutazione dello yuan. Se anche la moneta cinese si rivalutasse del 40-50% (cosa enorme) i prezzi dei loro prodotti resterebbero comunque competitivi sul mercato americano. Della rivalutazione della moneta cinese approfitterebbero soprattutto molti altri paesi dell'Asia o dell'America del Sud, che aumenterebbero le loro esportazioni verso gli Usa. Invece è necessario che sia la moneta americana a svalutarsi rispetto a tutte le altre monete, così da consentire un recupero di competitività effettivo. È evidente che un simile scenario rischia di prolungare la recessione per tutto il pianeta. Ma è proprio qui che sono necessarie politiche intelligenti di stimolo della domanda interna in paesi in avanzo nella bilancia dei pagamenti, come sono molti paesi europei e alcuni tra i grandi paesi emergenti.
L'uscita da questa crisi avverrà solo se i politici saranno all'altezza dei loro compiti e se i tecnici saranno così indipendenti da non prestarsi ai desideri di breve termine dei politici, fabbricando teorie utili a non assumersi le proprie responsabilità. Se ciò avverrà, forse la recessione potrebbe durare qualche trimestre di più, ma poi il risanamento dei conti ci permetterà una ripresa più solida e più duratura di quella effimera che rischiamo di affidare solo alla mortificazione dei mercati finanziari e alla punizione dei banchieri.
icipoll@tin.it