Il capo del governo smentisce la crisi. Ministri e portavoce denunciano una cospirazione internazionale condotta da speculatori e mezzi di comunicazione. I problemi economici si aggravano. Avviene un rimpasto di governo e si annuncia un piano per la ripresa. I pronostici del governo sono ottimistici È evidente che le previsioni non saranno rispettate e che la situazione è più difficile. Il dibattito si concentra sullo scambio di accuse nell'assegnare le responsbilità della crisi: governi precedenti, partiti politici, élite, gruppi sociali o soggetti specifici non identificati.
La polarizzazione divide il paese, al governo manca il sostegno per prendere decisioni difficili. La confusione su cosa fare complica l'assunzione di decisioni. Si moltiplicano le proposte per uscire dalla crisi avallate da una certa istituzione o da un economista prestigioso. Molte proposte sono in contraddizione: quelle che evitano l'adozione di decisioni critiche risultano le meglio accolte. Il governo prova ad applicare alcuni palliativi che non intaccano la crisi. Il conflitto aumenta; sindacati, associazioni imprenditoriali e di categoria fanno pressione sul governo per ottenere protezione, tutela, sussidi e altre misure che possano diminuire il costo inflitto dalla crisi. L'accumulo di misure posticipa e rende più difficoltosa l'adozione di soluzioni di lungo respiro a livello nazionale. Solo dopo poco tempo la realtà si impone e il governo (di solito, un governo diverso) prende le decisioni necessarie ad avviare l'economia verso la crescita.
Qual è il paese descritto? È quanto è accaduto negli anni 90 in Argentina con Carlos Saúl Menem, in Malesia con Mahathir Mohammed e in Messico con Carlos Salinas de Gortari, nella Russia di Boris Eltsin e nell'Indonesia di Suharto. È quello che sta accadendo nella Grecia di Papandreou, nella Spagna di Zapatero e in altri paesi europei in ginocchio. La tragedia si evolve seguendo un copione universale e prevedibile. Primo atto: negazione della crisi. Secondo atto: rabbia e denuncia di speculatori, mezzi di comunicazione e banchieri. Terzo atto: adozione di soluzioni contingenti che nulla risolvono. Quarto atto: grave crisi economica, sociale e politica. Quinto atto: adozione di misure che si era dichiarato non sarebbero mai state contemplate.
Inizialmente, mettendo in dubbio il fatto che la Spagna stesse attraversando una crisi, il presidente Zapatero non ha fatto altro che emulare Eltsin o Menem. Quando José Blanco, ministro delle Infrastrutture, ha dichiarato che «nulla di ciò che sta accadendo nel mondo è casuale o inoffensivo» e che la debolezza dell'euro era dovuta a «manovre oscure di speculatori finanziari», non ha fatto altro che ripetere ciò che un personaggio così diverso da lui come il malese Mahathir, esprimeva nel colpevolizzare lo «speculatore» George Soros per la svalutazione della moneta del suo paese. Nel presentare ai mercati un piano fondato su scenari rivelatisi in breve troppo ottimistici, il ministro spagnolo Elena Salgado agiva come in passato si erano comportati molti ministri dell'Economia di paesi in crisi, guidati dall'obiettivo di calmare i mercati: presentazioni audiovisive anziché riforme.
Non sono stati originali i dirigenti europei la cui prima reazione si rispecchiava nella decisione di non accettare più i prestiti dell'Fmi, concessi a condizione che si adottassero politiche a correzione degli squilibri economici. Sono gli stessi dirigenti che si rimangiano quelle parole e si preparano a sottoscrivere un accordo con l'Fmi. È lo stesso, umiliante percorso intrapreso dai reticenti clienti del Fondo. La novità è che ora i "clienti" sono europei.
È difficile imparare dalle esperienze altrui. Se così facessero, la Spagna e altri paesi europei potrebbero risparmiarsi inutile sofferenza economica. L'esperienza li aiuterà a riconoscere che i problemi non si attenuano rimandando l'adozione di riforme inevitabili, sebbene queste appaiano oggi lontane e inaccettabili.
(Traduzione di Graziella Filipuzzi)