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Professionisti, un allarme che merita risposte

di Gian Paolo Prandstraller

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30 novembre 2009

È innegabile che la crisi economica stia danneggiando gravemente quasi tutte le categorie professionali e, in parecchi casi, stia compromettendo addirittura la sopravvivenza stessa dei professionisti più giovani e deboli. Il problema di come ovviare a questo stato di cose è complesso: se la crisi venisse rapidamente superata, la soluzione arriverebbe da sola, riportando, per esempio, alla normalità i tempi di incasso delle parcelle professionali. Ma quest'ipotesi sembra per ora poco realistica. Allora quali rimedi?
Il primo è, ovviamente ma poco realisticamente, sospendere o ridurre le imposte che gravano sui professionisti.
Il secondo: un aiuto tangibile da parte dello Stato ai professionisti in difficoltà, in termini di mutui agevolati o addirittura a fondo perduto. Anche questa ipotesi sembra però di difficile realizzazione, benché sia giusta in linea di principio. È chiaro che quanto più cresce il numero dei richiedenti tanto meno verosimile è una risposta dello Stato in termini di concessioni economiche.
Vi è una terza via che, a differenza di quelle indicate, ha un carattere strategico: senza rinunciare alle liberalizzazioni, lo Stato può assegnare ai professionisti "nuove" funzioni che – con i corrispondenti introiti – consentano loro di colmare le perdite subite in seguito alla crisi. Nuove funzioni, nuovi guadagni.
Attenzione. Non si tratta di rispolverare il vecchio approccio delle esclusive. Al contrario. La logica può essere quella delle "compensazioni", che poi è la soluzione già applicata in occasione dell'abolizione di funzioni professionali per via della cosiddetta "liberalizzazione".
Nel caso dei farmacisti è stata tolta a questi ultimi l'esclusiva nella vendita dei cosiddetti prodotti da banco, ma è stata prevista la nascita della "superfarmacia", un esercizio in cui possono essere svolte attività che in precedenza non competevano a tali strutture: come analisi, screening oncologico, ritiro dei referti, elettrocardiogramma, eccetera. È chiaro che per tale via si modifica la natura economica dell'esercizio farmaceutico e gli si assicurano introiti migliori.
Il processo di acquisizione di nuove funzioni è già in atto da parte d'un certo numero di professioni. Alcuni esempi sono sotto gli occhi di tutti. Gli architetti stanno profondendo energie per la costruzione di edifici qualificanti nelle città. Essi assecondano le aspirazioni dei centri urbani che vogliono diventare migliori per attrarre turisti e grandi masse; o cercano di rispondere alle aspirazioni formali di paesi in espansione, per esigenze che, oltre che economiche, sono psicologiche e politiche.
Naturalmente tutto ciò è più facile ai grandi studi di architettura che ai piccoli. Ma in prospettiva il processo è interessante, perché implica una maggiore presenza sul mercato dei servizi resi dagli architetti (e dagli urbanisti).
I designer stanno affrontando la crisi introducendo, per esempio, la teoria e la pratica del "low cost", cioè l'offerta di oggetti di altissimo livello estetico a basso costo, in modo che possano essere acquistati da tutti. Così attraggono verso le proprie creazioni masse di fruitori anziché piccole minoranze.
I farmacisti delle parafarmacie (dove è necessaria la presenza di un farmacista) offrono in vendita estesamente cosmetici e prodotti antinvecchiamento i quali stanno diventando una risorsa considerevole per questi esercizi perché rispondono ai bisogni della popolazione anziana e femminile.
Per gli avvocati, i commercialisti, i notai e i consulenti del lavoro è ormai inevitabile pensare che qualche nuova funzione debba essere assegnata a queste importanti categorie.
Come? Passando agli iscritti qualcuno dei compiti che la magistratura e la pubblica amministrazione non riescono a espletare e che la popolazione invece si aspetta siano attuati con rapidità e puntualità. L'affidamento di nuove funzioni a tali professioni diventa un fatto quasi inevitabile.
Attraverso questa via, esse possono essere risarcite (senza oneri per lo Stato) di parte delle perdite subite con la crisi, e salvate dai danni prodotti da essa.
Sta nell'abilità delle singole professioni di chiedere urgentemente nuovi spazi di attività e perciò ottenere il miglioramento della propria condizione economica.
Tutto sommato questa strada può essere percorribile, perché mentre non espone lo Stato a esborsi gravosi, rafforza i ceti medi, senza i quali è difficile pensare a una società funzionante. I ceti medi infatti oggi sono in gran parte professionali ed è come minimo saggio aiutarli ad uscire dalla crisi in cui sono caduti.

30 novembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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