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ANALISI / Il grande malato reagisce bene alla terapia shock

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30 ottobre 2009

L'economia americana è uscita "fuor del pelago a la riva"? Si sarebbe tentati, ora che il Pil Usa ha ripreso finalmente a crescere, di vedere in questa ripresa una conferma alle rivendicazioni del vicepresidente della Federal Reserve, Donald L. Kohn, che in un discorso all'Università di Princeton il 23 maggio scorso, così affermava: «I modelli della Fed suggeriscono che il Pil nominale potrebbe essere, lungo i prossimi anni, di mille miliardi di dollari più alto di quanto sarebbe stato in assenza dei nostri programmi di supporto al sistema finanziario». Ma l'azione della Fed - forte, innovativa e coraggiosa - se ha evitato il peggio non ha necessariamente assicurato il meglio, nel senso di una ripresa solida e sostenibile. Le medicine servono a curare, ma la guarigione avviene soprattutto con le risorse interne dell'organismo, con le sue capacità di reagire a «dardi e strali di fortuna avversa».

Come valutare, allora, la tenuta di quei "germogli verdi" annunciati dal presidente Obama in primavera e finalmente venuti alla luce nel trimestre che avvia all'autunno? Si tratta di una vera uscita dalla crisi? Sono possibili ricadute? Queste domande sono tanto più giustificate in quanto questa Recessione (la maiuscola è d'obbligo) è diversa dalle altre: la ferita alla spesa è venuta in prima battuta dal patrimonio e non dal reddito, dalle ferite ai bilanci (di banche e famiglie) e non dai normali ripiegamenti del ciclo. E le piaghe dei bilanci ci mettono più tempo a guarire rispetto alle piaghe dei redditi.

Tuttavia, se questa crisi è diversa dalle altre, anche la risposta della politica economica è stata diversa: si è correttamente diretta sia ai bilanci che ai redditi, sia alla guarigione del sistema finanziario che alle tradizionali misure di supporto al sistema economico. La cartina di tornasole, allora, per giudicare la qualità di questa ripresa americana (cominciamo dagli Usa, perché è lì che la crisi è scoppiata e non ne usciremo se non ne esce l'America) sta nel guardare ai bilanci e ai redditi, agli stock e ai flussi. E questo sguardo, assieme ai dati sulla contabilità nazionale americana rilasciati ieri, porta a conclusioni cautamente ottimistiche.

Lo squilibrio di base di un'economia che consumava più di quel che produceva si sta attenuando: il saldo con l'estero - la spia di questo eccesso di spesa - che era giunto nel 2006 al 6,4% del Pil - è sceso al 2,7 per cento. Il risparmio delle famiglie è tornato positivo e la loro ricchezza sta aumentando a suon di migliaia di miliardi di dollari, grazie all'arresto dello sgretolamento dei prezzi delle case e ai forti aumenti registrati dai mercati azionari. La posizione finanziaria delle imprese è positiva, a livelli stupefacenti, i più forti del dopoguerra: nell'aggregato, le imprese non hanno bisogno di finanziarsi all'esterno, dato che il loro cashflow è di molto superiore alle loro necessità di finanziamento per investimenti. Una posizione che deve molto, naturalmente, a una caduta delle spese in conto capitale (che peraltro appare essersi arrestata), ma che allo stesso tempo assicura che le imprese hanno soldi da spendere quando volessero spenderli. Sui mercati finanziari è tornata la fiducia, gli spread sono a livelli fisiologici e molte banche son tornate a far profitti.

Certamente, tutto questo è tenuto su dalle reti di sicurezza che il bilancio pubblico e le autorità monetarie hanno costosamente messo in opera. Ed è legittimo essere preoccupati di quel che succederà quando questi stimoli venissero a mancare, come è già successo per gli incentivi alla rottamazione delle auto e come succederà fra breve col venir meno degli incentivi all'acquisto di case. Ma il processo di guarigione, come detto, non implica solo le medicine. Ed è importante constatare che il gran corpaccio dell'economia americana sta reagendo bene agli stimoli. La saggezza convenzionale vuole una ripresa lenta e faticosa. Ma una volta tanto, i rischi per il futuro non sono solo verso il basso. Potrebbero essere anche verso l'alto.
fabrizio@bigpond.net.au

30 ottobre 2009
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