Ci fu il tempo della grande discesa, e poi è arrivata, se non quella della risalita, la stagione della prudenza, perché deficit e debiti pubblici sono schizzati in alto a motivo degli interventi dei governi per fronteggiare la Grande Crisi. Ciò non significa che nulla si muova: accantonati i richiami all'armonizzazione, ciascuno fa quel che può. E la competizione fiscale tra i paesi resiste. Il che non è male, se vogliamo evitare che per placare la sete dei governi scatti la rincorsa a emulare i sistemi che spremono di più imprese e famiglie.
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I dati confermano che il decennio dei tagli sulle tasse delle società si è chiuso.Potevano le politiche fiscali (ma una bella fetta di economisti la pensa diversamente e ritiene che la ripresa debba scattare proprio grazie ad una decisa e generalizzata riduzione del carico fiscale sui redditi personali e d'impresa) non tenerne conto?
È questo il contesto che ha fatto da sfondo al tramonto della stagione dei tagli fiscali per le imprese. Un po' dappertutto in giro per il mondo con l'eccezione della Russia (che ha abbassato il prelievo sulle imprese dal 24 al 20%) e, anche se in misura minore, di Repubblica Ceca, Lussemburgo, Paesi bassi e Svezia.
La Germania, prima economia d'Europa, è il paese che aveva chiuso allo sprint il decennio dei tagli (9 punti in meno tra il 2007 e il 2008). Impossibile pensare che potesse continuare su questi ritmi. La Francia è al 34,43%, Giappone e Usa superano il 39%. Per l'Italia siamo al 31,4%, inclusa l'Irap, in calo rispetto agli anni precedenti.
Per integrare questi dati può essere utile l'ultima indagine di Mediobanca, che segnala per fine 2008 una flessione dell'aliquota media dal 29 al 23% a motivo della riduzione di Ires ed Irap contro una media internazionale del 30,5% in Europa e del 25% nei paesi del blocco russio-asiatico. Per Mediobanca, negli ultimi due anni gli oneri tributari in Italia sono diminuiti del 40%, ma restano penalizzate (9 punti sopra la media) le medie imprese. In prospettiva, sono attesi mesi difficili, e sarà interessante verificare la situazione alla fine di quest'anno.
Certo, ci sono paesi che sul terreno della "corporate tax" restano comunque irraggiungibili. È il caso dell'Irlanda, l'ex Tigre celtica che difende a spada tratta la sua minuscola aliquota al 12,50, o dell'Islanda che ha vissuto il suo crack di stato e che presenta il 15%. Fuori dall'Europa spiccano invece Singapore e Cile.
È a questo punto che è opportuno inserire il rallentamento dei tagli sulle tasse societarie in un contesto di politica fiscale più ampio. Dove si può vedere che non tutto è fermo. Anzi.
La concorrenza fiscale tra gli Stati dà vita a classifiche mobili. L'Irlanda è riuscita a tenere ferma al 12,5% la sua "corporate tax"? Vero, ma ha dovuto alzare insieme al Regno Unito (per il quale c'è chi prevede una fuga in grande stile dalla City di banchieri e finanzieri) l'aliquota sui redditi personali. Mentre la Polonia la riduce di 8 punti al 32% e la Svizzera taglia dello 0,4% e si porta al 40%. Svizzera che da un lato "cede" in una dura partita con gli Stati Uniti sul segreto bancario fornendo i nominativi di oltre 4 mila clienti e dall'altro fa un passo concreto per recuperare clienti. Inoltre, come spiegato dagli articoli di Fabio Carducci, qui a fianco, è tutto un fiorire di iniziative nei campi d'azione più diversi.
L'Italia, per fare due esempi, ha abolito l'Ici e detassato gli utili reinvestiti. Ma tutti i paesi hanno cercato di studiare misure per accompagnare imprese e famiglie in un periodo quanto mai turbolento.
Ciascuno, come si diceva, segue la sua rotta politica e fa quel che può. E la concorrenza su questo terreno (discorso che dovrebbe valere nella pratica, oltre che nei principi già fissati, per il nostro nuovo modello di federalismo fiscale) non significa per definizione un caos da "armonizzare": di quello avremo purtroppo di nuovo prova automatica il 14 settembre con il click-day per i rimborsi Irap, che si chiuderà in una manciata di secondi. A meno che non si voglia bloccare la naturale tendenza di contribuenti e capitali a muoversi verso habitat fiscali ritenuti migliori o più convenienti.