ITALIA

 
 
 

 
HOME DEL DOSSIER

4 Febbraio 2010

3 Febbraio 2010

2 Febbraio 2010

1 Febbraio 2010

30 Gennaio 2010

28 Gennaio 2010

27 Gennaio 2010

26 Gennaio 2010

25 Gennaio 2010

24 Gennaio 2010

23 Gennaio 2010

22 Gennaio 2010

21 Gennaio 2010

20 Gennaio 2010

19 Gennaio 2010

18 Gennaio 2010

17 Gennaio 2010

16 Gennaio 2010

15 Gennaio 2010

14 Gennaio 2010

13 Gennaio 2010

12 Gennaio 2010

11 Gennaio 2010

10 Gennaio 2010

9 GENNAIO 2010

6 GENNAIO 2010

5 GENNAIO 2010

03 gennaio 2010

2 gennaio 2010

31 dicembre 2009

30 dicembre 2009

29 dicembre 2009

28 Dicembre 2009

27 dicembre 2009

Consigli da Roma antica all'imperatore Barack I

di Paul Kennedy

Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
31 dicembre 2009

Governare significa scegliere. Questo era il famoso e ironico adagio dei diplomatici francesi del XVII e XVIII secolo. Per come la vedevano loro, in un mondo in cui regnava l'anarchia nei rapporti internazionali, scegliere delle priorità non era facile. I governanti degli Stati nazionali, perfino quelli che sembrano forti e privilegiati, spesso si vedono costretti a prendere delle decisioni difficili. Sarebbe meglio, dunque, ragionare fin dall'inizio su quanto impegno ci si può assumere. Un principe fresco di trono, o il nuovo capo di un governo parlamentare, farebbero meglio a non intraprendere troppe riforme sul fronte interno e contemporaneamente dedicarsi a rincorrere demoni stranieri in altri paesi. La decisione di fare marcia indietro, o quantomeno ridurre sostanzialmente l'impegno, rispetto a una politica ereditata dal precedente governo può rafforzare la leadership, dando più spazio ed energia per portare avanti altri piani ambiziosi. Sceglietevi le vostre battaglie, e i terreni su cui combattere.
Ho ripensato spesso a questo prudente principio di massima di non combattere su troppi fronti nello stesso momento durante il primo anno dell'amministrazione Obama. Davvero il presidente crede di poter far passare riforme importanti nel campo della sanità, dell'istruzione, dei cambiamenti climatici, delle finanze pubbliche e delle tasse, e allo stesso tempo di vincere in Iraq in Afghanistan? Che succede se disperdendo le proprie energie su più fronti l'amministrazione americana ottiene il triste risultato di non essere forte da nessuna parte e debole - o compromessa, o vittoriosa soltanto a metà, o perfino perdente - dappertutto?
A questa spiacevole considerazione generale sui rischi di impegnarsi ovunque senza riuscire da nessuna parte, si dovrebbe aggiungere una preoccupazione più specifica, relativa alla escalation militare di Obama in Afghanistan.
Ci sono buone ragioni militari, morali e strategiche dietro alla scelta della nuova amministrazione di sostenere il traballante governo afgano e mettere sotto pressione i Talebani e al-Qaeda, aumentando le operazioni militari in questa regione.
È chiaro che il presidente si è consultato ampiamente prima di procedere con questa politica di escalation, e ha riflettuto personalmente, a lungo e con coscienza, su questa decisione sgradevole. Ma perfino quest'uomo di straordinaria intelligenza non si è posto un'ulteriore domanda, più importante, che a una persona preparata sulla storia militare e sulla strategia sarebbe venuta naturale.
La domanda è questa: esistono operazioni militari che le Grandi Potenze, perfino le più grandi in un qualunque periodo storico, non dovrebbero intraprendere? Ci sono delle campagne che non vale la pena di combattere, perché il terreno rende la conquista impossibile (o perché il coinvolgimento di così tante truppe per gestire operazioni così insidiose rendere più difficile assolvere ai propri obblighi altrove)? La potenza numero uno deve armare ogni confine, deve essere forte ovunque? Non ci sono limiti?
La storia ci fornisce un ricco campionario delle più pragmatiche fra le Grandi Potenze che in certe occasioni hanno ammesso di saper riconoscere i propri limiti, mentre quelle intransigenti e spinte dalle ideologie continuavano a dichiarare: «Mai darsi per vinti». «Mai darsi per vinti»è un atteggiamento che ha senso se un feroce nemico piomba su di voi con l'intento di uccidere o imprigionare tutta la vostra gente. I sovietici avevano dovuto combattere una guerra totale contro la Germania nazista, dopo la brutale invasione del giugno del 1941; era una questione di vita o di morte. Ma il problema diventa più sfumato se si tratta di un impegno a combattere in territori stranieri. Vale davvero la pena di proseguire questa campagna?
La Spagna di Filippo II e i suoi successori cercarono, addirittura per 80 anni, di sopprimere i ribelli protestanti in Olanda e in Zelanda, malgrado il fatto che i canali della bassa Schelda rendessero incerta una vittoria basata sui combattimenti di terra. Gli inglesi abbandonarono i loro sforzi di controllare l'America perché il puro e semplice problema delle distanze e la topografia della valle dell'Hudson e della regione dei monti Appalachi rendevano impossibile, nel 1781-1783, mantenere un controllo imperiale, almeno al prezzo che Londra (in guerra all'epoca con Francia, Spagna e Paesi Bassi) era disposta a pagare. Dopo tre guerre successive in Afghanistan, i britannici hanno rinunciato definitivamente a cercare di controllare quel terreno impossibile. Il poderoso sforzo compiuto dall'esercito imperiale giapponese tra il 1937 e il 1945 per conquistare la Cina naufragò contro gli scogli della distanza, del clima e della logistica. I molti tentativi della stessa Cina, nel corso dei secoli, di punire i vietnamiti non portarono quasi mai a nulla. A volte, non ne vale la pena. A volte, non si può fare.
Imperi intelligenti e duraturi, come l'Impero Romano, erano consapevoli dei propri limiti e raramente li oltrepassavano. Dopo aver perso tre intere legioni nel folto delle foreste tedesche, Augusto e i suoi successori decisero di istituire una frontiera lungo la riva occidentale del Reno. Il Danubio a sua volta diventò la barriera contro le tribù della Dacia; la Grande pianura ungherese veniva lasciata alle irsute popolazioni barbare. Il Galles era poco attraente e la Scozia poco redditizia, e le legioni romane raramente si avventuravano in quelle terre. La costa nordafricana era ricca di risorse, ma il Sahara, a sud, era una barriera invalicabile. A est della Palestina la situazione era precaria e l'Impero Persiano era un cliente troppo grosso per essere sfidato, a meno di non portare tutte le legioni fino alle rive dell'Eufrate e dell'Oxus (l'odierno Amu Darja), come fece Alessandro. I romani non erano così stupidi. Furono loro stessi a fissare i limiti della propria influenza. Per rimanere forti complessivamente, non avevano esitazioni quando si trattava di scegliere dove rimanere e combattere e dove non avventurarsi mai più. Fu questo (insieme ad altri fattori) ad aiutare l'Impero Romano a durare per 500 anni.
  CONTINUA ...»

31 dicembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-