LA CITAZIONE - «Nel tessuto delle piccole imprese bisogna valorizzare l'innovazione della professionalità» - Carlo Carboni
Quello italiano è giustamente descritto come un modello di sviluppo economico basato sulle piccole e medie imprese. Un modello che nasce da lontano: le radici delle Pmi si possono cercare nelle botteghe artigiane del Medioevo e in quella dimensione delle corporazioni che ha progressivamente contribuito a dare dignità sociale al lavoro e alla creatività all'interno della dimensione locale.
Lo scatto di qualità è avvenuto tuttavia nell'ultimo dopoguerra per effetto di tre elementi concomitanti: uno di scenario, con la spinta della spesa pubblica e della ricostruzione, uno di carattere locale con uno sviluppo basato sui distretti, uno antropologico, con la passione imprenditoriale e la voglia di "mettersi in proprio" che ha guidato la nascita di gran parte delle nuove imprese.
Questo modello di sviluppo, fondato sulla diffusione dei sistemi produttivi locali, ha avuto molti attenti osservatori, che hanno elaborato teorie economiche altrettanto innovative quanto efficaci. Si possono ricordare gli studi di Giorgio Fuà e del gruppo di studiosi che si era raccolto attorno all'Università di Ancona e all'Istao. Proprio Fuà in più occasioni ha messo in luce il fattore storico con i collegamenti all'antica origine dell'Italia dei comuni, con una realtà dove prevaleva una struttura sociale appoggiata a un'organizzazione produttiva in larga misura familiare e a una concezione del lavoro in prevalenza autonoma e indipendente di derivazione artigiana. In questo modo, ambiente e potenzialità imprenditoriali si fondono anche grazie al collante derivante dalle culture e dalle tradizioni. E realizzano così importanti meccanismi spontanei di diffusione locale dello sviluppo.
Sono proprio questi meccanismi che hanno permesso all'Italia, come sottolineato nei giorni scorsi dalla Fondazione Edison (si veda Il Sole 24 Ore del 29 dicembre), di conquistare posizioni di leadership in molti settori e in molte nicchie industriali.
È anche per l'insieme di questi fattori che appare necessario, per contrastare il declino e avviare una nuova fase di sviluppo, mettere in primo piano una politica industriale di salvaguardia e di rilancio della dimensione locale e delle reti territoriali. Un tema che viene messo particolarmente in rilievo nel volume curato da Carlo Carboni La governance dello sviluppo locale. «Nel tessuto delle nostre piccole imprese - scrive Carboni - non sono ancora sufficientemente diffuse conoscenze organizzative e tecnologiche, comunità professionali in grado di veicolarle in una rete di imprese».
Si tratta in fondo non tanto di superare la cultura del localismo, quanto di inserire i valori tradizionali della comunità di riferimento in una dimensione d'innovazione basata non solo sulla ricerca, ma anche e soprattutto sulla professionalità. Nella convinzione che il capitale umano unito al capitale sociale (e quindi alle relazioni di comunità) può costituire il vero vantaggio competitivo per un rilancio sostenibile dell'economia italiana.