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Fatto Bernanke facciamo la Fed

di Alberto Alesina

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31 gennaio 2010

La contestata riconferma di Ben Bernanke alla presidenza della Fed è un sintomo che nasconde la difficoltà di un'importante scelta istituzionale. Durante la recente crisi finanziaria, la Fed ha allargato la sua sfera di intervento. Ha scelto chi salvare e chi non con i soldi dei contribuenti, cioè in pratica ha fatto politica fiscale, non solo monetaria, con risultati che la storia giudicherà ma che, sia pure con inevitabili errori e omissioni, probabilmente hanno evitato guai peggiori. I critici di Bernanke, che curiosamente sono sia all'estrema destra che a sinistra dello spettro ideologico del Congresso americano lo accusano proprio di questo, sia pure con motivazioni opposte, cioè di essersi accollato troppi poteri e per giunta di averli usati male. I suoi sostenitori dicono invece che è proprio per questa latitudine concessa alla Fed che si è evitato il peggio.

Insomma la domanda più generale che riguarda non solo gli Stati Uniti ma anche altri paesi è questa: la banca centrale deve limitarsi alla politica monetaria in senso stretto e altre agenzie devono controllare la fragilità del sistema finanziario, decidere chi "salvare" (e come) oppure è preferibile concentrare entrambe le funzioni nella banca centrale? La domanda è difficile perché ha dei risvolti tecnici che riguardano l'efficienza economica e altri aspetti costituzionali di teoria della democrazia. Infine rimane il dubbio di quale dei due sistemi sia più robusto alla regulatory capture ovvero al fenomeno per cui l'industria regolata, in questo caso quella finanziaria, influenza il suo stesso regolatore a suo vantaggio. Qualunque sia la soluzione adottata mai bisogna dimenticare questo rischio.

Dal punto di vista dell'efficienza economica vi sono evidenti benefici nel concentrare nella banca centrale la supervisione dei mercati finanziari e darle ampia latitudine di manovra in questo campo. La politica dei tassi influenza le attività bancarie. La propensione a prendere rischi e la stretta connessione tra i tassi fissati dalla banca centrale e le possibili bolle speculative fanno sì che vi siano sinergie tra politica monetaria e quella di controllo della fragilità finanziaria. La politica monetaria che fissa i tassi di interesse influenza anche l'andamento ciclico dell'ammontare di rischio assunto dagli istituti finanziari, spesso eccessivo nei periodi di boom per poi contrarsi nelle recessioni aggravandole. Non solo, ma è la banca centrale il lender of last resort che interviene in casi di crisi di liquidità. Quindi l'efficienza consiglierebbe di concentrare la supervisione nelle mani della banca centrale.

Ma dal punto di vista della democrazia, questa concentrazione di poteri su un ente burocratico indipendente potrebbe far sollevare qualche sopracciglio. Se nella banca centrale si concentrano una serie di obiettivi, da quello della stabilità dell'inflazione a quello della stabilità finanziaria, si delegano a questa istituzione scelte tra obiettivi spesso contrastanti. Più liquidità protegge contro crisi finanziarie, ma si scontra contro obiettivi anti-inflazionistici. Gli interessi degli azionisti di grandi società finanziare e quelle di contribuenti e detentori di depositi sono spesso contrapposti soprattutto nei momenti di crisi. Chi decide tra questi interessi? Si tratta di decisioni redistributive e quindi inerentemente politiche. Ecco allora che l'alternativa, proposta per esempio da Luigi Zingales, è di delegare con chiarezza obiettivi diversi a istituzioni diverse. La banca centrale, indipendente dal potere politico, si dovrebbe preoccupare dell'inflazione e della politica monetaria in senso stretto, un'istituzione regolatrice invece si occuperebbe della stabilità finanziaria e un'altra ancora della protezione dei cittadini detentori di depositi. In questo modo i trade off tra diversi obiettivi sono ben specificati nelle direttive dei vari organi regolatori e il loro operato può essere giudicato con più chiarezza.

Dal punto di vista della teoria istituzionale il ragionamento non fa una grinza: ovvero la politica (cioè indirettamente gli elettori) decide tra obiettivi contrastanti e la realizzazione tecnica di queste scelte è delegata a enti indipendenti e (sperabilmente) incorruttibili. Ma in questo caso come coordinare la politica monetaria e la salvaguardia della solidità finanziaria? Non si rischiano conflitti, o per lo meno manca di coordinamento e di scambio di informazioni tra enti regolatori separati? Quanta efficienza economica si sacrificherebbe? Si potrebbe allora pensare a soluzioni intermedie in cui la banca centrale mantiene le sue prerogative ampie ma entro limiti più chiaramente definiti e nel caso di interventi straordinari come nel caso della crisi più recente.
Insomma la polemica sulla Fed può essere uno stimolo per ripensare all'assetto istituzionale più adeguato per la banca centrale che salvaguardandone la sua indipendenza ne definisca con precisione poteri e limiti. Speriamo che la discussione non si riduca a patteggiamenti politici di bassa lega e soprattutto che non finisca a intaccare la separazione fra politica e il controllo della politica monetaria. Rieletto Bernanke, tranquillizzati i mercati si può cominciare una riflessione calma e ragionata sull'assetto istituzionale della Fed, una discussione che sarebbe utile anche per molte altre banche centrali.

31 gennaio 2010
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