Chi ha ragione e chi torto nel duello che di nuovo oppone politica e giustizia in Italia come ormai da troppi anni? Ieri l'altro era sembrato che un filo di dialogo potesse riaprirsi con l'invito del primo presidente della Cassazione Carbone a riforme raziocinanti e una felpata apertura del ministro Alfano. Ieri invece la protesta in tutte le sedi, tranne un paio, di inaugurazione dell'anno giudiziario ha scaldato gli animi. La magistratura, terzo potere di Montesquieu, che lascia la cerimonia con la Costituzione sotto il braccio non è roba da sciopero di quartiere. E fa male, malissimo, il governo a sottovalutare il dissenso dei giudici, sottoposti a troppi e troppo frequenti attacchi e polemiche. Al tempo stesso le toghe che ieri han protestato non possono considerarsi scolpite nel marmo, immote a ogni riforma e cambiamento: e devono riconoscere che se l'attrito con i governi Berlusconi li costringe in difensiva, anche tra le loro fila ci sono errori, imprudenze, inchieste sconsiderate, cavilli, burocrazie. Gli italiani chiedono una giustizia giusta, efficiente e rapida. Il governo ha il dovere di garantirla, i magistrati il dovere di amministrarla. Principio semplicissimo ma che nel 2010 si affermi sembra purtroppo utopia.