Due settimane di visita e alla fine il verdetto: l'Italia ha adottato una strategia anti-crisi appropriata. L'Fmi, mai tenero con Roma, ha sottolineato che le banche hanno tenuto meglio della concorrenza internazionale «grazie al loro modello conservativo e alla prudenza» e per questo non c'è stato bisogno di «iniezioni di denaro pubblico». Una specie di nemesi storica: quella che era la foresta di pietrificata si è trasformata in un punto di forza del paese a patto che si «rafforzi la capitalizzazione». Ancora: la scelta di evitare strumenti di stimolo fiscale «è stata un segnale forte della volontà di non aumentare la spesa». Dunque, il governo e le banche possono incassare il plauso dell'Fmi e guardare avanti. Fase 2, la crescita. Il campo è libero. Archiviata la tornata elettorale ci sono davanti tre anni di lavoro intenso. Allargare i cordoni del credito, stimolare la ricerca, creare le condizioni per ripartire a cominciare dalla riforma fiscale annunciata dallo stesso ministro Tremonti. Altrimenti, tra non molto, ricominceranno le litanie delle istituzioni internazionali e delle società di rating. Non possiamo permettercelo.