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Bernheim all'ultima battaglia in Generali

di Fabio Tamburini

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31 ottobre 2009

Vincent Bolloré, interpellato all'inizio del settembre scorso, era stato buon profeta. «È 25 anni che si discute della successione di Bernheim tutti i trimestri, ma lui è ancora lì», aveva dichiarato, intendendo sottolineare che la partita per le nomine al vertice delle Generali era tutta da giocare. Così sta avvenendo. E l'ottuagenario presidente è di quelli che sanno vendere cara la pelle. Di sicuro non ha alcuna intenzione di ritirarsi in buon ordine e ha deciso d'impegnarsi a fondo. L'obiettivo dell'ultima battaglia di una vita trascorsa ai crocevia dell'alta finanza del sistema Lazard-Mediobanca è raggiungere un traguardo gli darebbe piena soddisfazione: la conferma ancora per un anno, contro l'opinione pressoché generalizzata dei grandi azionisti della compagnia triestina, che ritengono chiusa la sua stagione.
Per la verità doveva essere chiusa già nella primavera 2007. Poi la scelta fu di mediazione. L'accordo raggiunto, tenuto strettamente riservato e senza alcun impegno scritto, prevedeva la proroga di un solo anno. È andata diversamente sia perché Bernheim ha confermato capacità straordinarie di tenuta, sia perché l'attenzione degli azionisti è stata verso altre emergenze. Certo ha pesato il rimescolamento di carte seguito alla fusione di Capitalia in UniCredit ma, soprattutto, la grande crisi economica ha dettato l'agenda delle priorità. Tanto più che la gestione forse fin troppo prudente delle Generali ha pagato, facendo ben figurare la compagnia nel confronto con i principali concorrenti internazionali.
Ora Bernheim è pronto per la campagna di primavera. Le Generali sono uscite rafforzate dal crack dei mercati finanziari e hanno le carte in regola per cogliere l'attimo, investendo in operazioni di sviluppo importanti. Per questo l'anziano presidente farà pesare un dato di fatto: la rete dei rapporti costruita in mezzo secolo d'attività. Certo, per crescere occorrono capitali e, di conseguenza, la palla passa agli azionisti, gli stessi che dovranno scegliere se confermare il vertice attuale. In particolare l'attenzione va rivolta a Mediobanca.
Giocando d'anticipo il presidente, Cesare Geronzi, ha ribadito un concetto che da qualche tempo gli è particolarmente caro. «Non ho alcun interesse alla presidenza di Generali», ha detto mercoledì scorso, liquidando con una battuta l'insistenza delle indiscrezioni che lo candidano a prendere il posto di Bernheim nonostante le smentite: «Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire». In Mediobanca, competente a trattare la materia è il comitato nomine, di cui fanno parte lo stesso Geronzi, l'amministratore delegato Alberto Nagel, il direttore generale Renato Pagliaro, Dieter Rampl (UniCredit), l'imprenditore Roberto Bertazzoni (indipendente ma molto vicino all'amministratore delegato di UniCredit, Alessandro Profumo), Marco Tronchetti Provera e Vincent Bolloré.
Proprio Bolloré, capofila dei soci francesi di Mediobanca, viene considerato l'ambasciatore che dovrebbe convincere Bernheim ad accettare il passaggio delle consegne, magari reso più accettabile da una ricca presidenza onoraria. Ma non è così facile, soprattutto perché Bollorè è legato a Bernheim da vincoli di straordinaria familiarità. Decisi a contare, infine, sono gli altri azionisti privati di peso: Francesco Gaetano Caltagirone (che continua ad incrementare la partecipazione), Lorenzo Pellicioli (indicato da Marco Drago di De Agostini), Leonardo Del Vecchio. Con una possibilità: e cioè che, sciolto il nodo del presidente, venga affrontato quello degli amministratori delegati.

fabio.tamburini@ilsole24ore.com

31 ottobre 2009
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