Stefano Cucchi, 31 anni, 43 kg, geometra, viene arrestato a Roma la notte del 15 ottobre con 28 grammi di hashish e qualche grammo di cocaina. All'1,30 del mattino, i carabinieri perquisiscono la casa della famiglia, ma non trovano nulla. Stefano è con loro. I genitori lo vedono. Sta bene. Viene chiuso nella cella di sicurezza della caserma Appio-Claudio, e il giorno dopo il giudice conferma l'arresto. Ha il viso gonfio e lividi agli occhi. Il medico del tribunale lo visita; certifica lesioni ed ecchimosi, confermate anche dal medico del carcere di Regina Coeli. Finisce in ospedale, reparto detentivo, dove muore all'alba del 22 ottobre, senza che i genitori siano riusciti a ottenere l'autorizzazione per vederlo.
Stefano è passato per quattro diverse strutture dello stato (camera di sicurezza, tribunale, carcere, reparto detentivo di un ospedale); ne è entrato in salute, ne è uscito cadavere. In cinque giorni. Inaccettabile. Lo stato ha il dovere di tutelare l'integrità fisica e la dignità dei cittadini. Non lo ha fatto. E ora ha solo il dovere di chiarire, subito, evitando disgustosi rimpalli di responsabilità.