Dal giugno 2009, quando fu lanciato il piano Cipe da 11 miliardi, a oggi, le risorse effettivamente spese sono praticamente irrilevanti. Con l'eccezione del Mose, che continua a tirare flussi di cassa notevoli, per il resto ci sono solo annunci, progettazioni, programmi da definire, iter autorizzativi in corso. Le vecchie opere vanno avanti, in molti casi a fatica, quelle nuove sono spesso ben impostate, ma non producono ancora cantieri, se non per lavori marginali, come nel caso del ponte sullo Stretto di Messina o delle nuove linee Tav tra Milano e Verona e tra Genova e Milano.
Si dice che è colpa delle procedure farraginose. Vero. Oppure delle resistenze degli enti locali. Vero anche questo, spesso. Però a questo punto, di fronte alla crisi di un settore che ancora non ha raggiunto affatto il suo apice, il governo è tenuto alla chiarezza. Dire, al più presto e senza più girare intorno ai numeri, su quante risorse vere, effettive, pronte in cassa, può contare il piano delle opere grandi e piccole. Più precisamente: quanto si potrà davvero spendere nel 2010 e quanto nel 2011. Lanciare programmi di lungo periodo è un buon modo di fare pubblica amministrazione ma, se le risorse restano incerte a lungo, è solo un modo per prendere tempo.