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LA PASQUA DEI CRISTIANI /Resurrezione significa verità

di Bruno Forte

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4 aprile 2010

«Coraggio! Siate una commissione coraggiosa!». Fu con queste parole, accompagnate da un sorriso luminoso, che Giovanni Paolo II si congedò da noi, membri della Commissione teologica internazionale, presieduta dall'allora cardinale Ratzinger. L'invito si riferiva allo studio che avevamo in corso, e che fu poi pubblicato col titolo Memoria e riconciliazione, destinato ad accompagnare e motivare la richiesta di perdono per le colpe dei figli della Chiesa voluta dal Papa per il Giubileo del 2000. Il cardinale Ratzinger aveva affidato a me la presidenza del piccolo gruppo di lavoro che doveva stendere il testo: sono perciò testimone diretto non solo della grande libertà che ci lasciò nel fare le nostre scelte, ma anche della convinzione con cui sosteneva la linea del Papa nel riconoscere le colpe commesse dagli uomini di Chiesa affinché non si ripetessero mai più e fosse intrapreso con coraggio il cammino della riforma e della penitenza, anche come vicinanza solidale alle vittime e contributo alla ricerca della verità e della giustizia davanti a Dio e davanti agli uomini.

È perciò con un senso di dolore e con la percezione del compiersi di una profonda ingiustizia che ho assistito agli attacchi rivolti in questi giorni a Papa Benedetto XVI a partire dai Suoi interventi coraggiosi e chiari sul tema gravissimo degli atti di pedofilia commessi da alcuni ecclesiastici, nel passato spesso coperti da un velo di omertà. Si sa che la pedofilia è una piaga diffusa nella società in una percentuale ahimé ben più alta di quanto non lo sia fra religiosi: se da una parte è indubbio che ancor maggiore è la gravità e lo scandalo di simili comportamenti in chi ha responsabilità educative e gode di una fiducia diffusa, dall'altra non ci si può non chiedere dove si trovi nella società civile un comportamento pari per trasparenza e coraggio a quello tenuto dal Papa.

È da questa linea seguita con tenacia da Benedetto XVI, oggi nel suo servizio pontificale e già prima in quanto prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, che vorrei trarre un messaggio più generale, da proporre alla riflessione di tutti in questa Pasqua 2010. È il messaggio dell'importanza di credere nella forza della verità e di affidarsi ad essa senza tentennamenti, con una fiducia più grande di ogni prova.
Riassumerei il messaggio in tre proposizioni. La prima: «La grandezza di uno spirito si misura dal grado di verità che è capace di sopportare». In una società delle apparenze, dove la maschera troppe volte è preferita all'irradiarsi della verità, un simile principio suona come l'invito a misurarci tutti sulle esigenze del vero. Ciò che conta non è apparire, ma essere; non è l'"audience", ma la disponibilità a pagare anche il prezzo più alto per non rinnegare mai la verità e la giustizia, che da essa dipende.

Quanto c'è bisogno di spiriti grandi, in un contesto culturale dove la voce che grida di più o che occupa più spazi di ascolto pretende di presentarsi come la più affidabile! Dalla cultura dell'immagine e dal mercato del consenso è più che mai necessario tornare all'umile coraggio della verità. Alla lunga, a beneficiarne saremmo tutti, perché la politica si concentrerebbe finalmente sulla ricerca del bene comune e non sull'interesse di alcuni, il sapere si allargherebbe al senso del servizio da rendere a tutti e l'impegno sociale si rivolgerebbe veramente anzitutto verso i più deboli!

Questo stile di vita richiede però una convinzione profonda, espressa dal secondo principio che vorrei indicare: «La verità non ha bisogno di essere difesa, si difende da sé». Come dire: non preoccuparti di cercare ragioni o strumenti per imporre la verità; fidati di essa; obbediscile e confida nella forza che in essa abita e che prima o poi trionferà. Quanta libertà interiore ne verrebbe, specialmente a chi ha responsabilità per gli altri, se questo principio fosse osservato. Il comportamento di Papa Benedetto mi sembra in tal senso un esempio a cui poter guardare con fiducia.
La terza proposizione si collega direttamente a quest'ultima considerazione e può essere formulata riprendendo alcune parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «La verità vi farà liberi». La libertà non si troverà nel cercare di addomesticare la verità ai propri interessi o nel farne un possesso e una clava da usare contro gli altri, ma in quell'atteggiamento di rispetto e di ascolto, che manifesta propriamente il cuore di chi crede nella trascendenza della verità, davanti a cui tutti siamo accomunati nella povertà e nell'urgenza di obbedirle.

Pasqua vuol dire anche questo: come la vita vincerà la morte, così la verità l'avrà vinta su ogni calcolo e menzogna. Per chi crede, Cristo risorto è garanzia di questa vittoria. Lasciarsi liberare dalla forza della verità e giocare su di essa le proprie scelte è la via aperta a chiunque voglia lasciarsi illuminare dal Vangelo di Gesù. Ed è il modo più autentico per vivere la Pasqua. Ce lo assicura così l'apostolo Paolo: «Celebriamo la festa non con il lievito vecchio, né con lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità» (1 Corinzi).

4 aprile 2010
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