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LA PASQUA DEI LAICI / Rinascita significa felicità

di Franco La Cecla

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4 aprile 2010

«L'idea di felicità che noi nutriamo è tutta tinta nel tempo a cui ci ha assegnati una volta per tutte il corso della nostra vita. Una gioia, che potrebbe suscitare la nostra invidia, è solo nell'aria che abbiamo respirato, con uomini a cui avremmo potuto parlare, con donne che avrebbero potuto farci dono di sé. Nell'idea di felicità, in altre parole, vibra indissolubilmente l'idea di redenzione. Lo stesso avviene per la rappresentazione del passato, che è il compito della storia. Il passato reca in sé un indice segreto che lo rimanda alla redenzione».

Nessuno come Walter Benjamin ha tradotto in termini secolari, attuali, nostri l'anelito di felicità che è presente nella redenzione. Ne abbiamo bisogno come non mai in un momento in cui gli "ultimissimi", le escatologie religiose sembrano capaci solo di posizionarsi all'interno della disperazione della vita individuale e collettiva.

Che gran fallimento le promesse dell'aldilà, del Paradiso e dell'Inferno, dell'altro mondo islamico, del Nirvana dell'annullamento nel Tutto se vengono evocati oggi come risposta a dei tempi in cui la Storia sembra gravata solo di macerie, ci si fa esplodere per uccidersi e uccidere perché di là c'è una vita ben migliore o ci si perde nell'oblio del presente, rinunciando a ogni passione per questa vita.

Se il presente che viviamo unico non è "riscattabile" da ora, se non è pervaso dall'attesa di una felicità - mia ma anche di quelli che mi stanno intorno o non conosco - allora ogni resurrezione, ogni reincarnazione, ogni annullamento è inutile. Il nostro tempo è sicuramente un tempo di disperati cinici, convinti che le religioni servano a illudersi o a illudere altri e nello stesso tempo convinti che il mondo e la vita presi di per sé sono solo una grande buggeratura.
Questo è il mondo senza umanesimo, finito nelle trappole del nichilismo come lo pensava Dostojevskij, cioè l'idea che la vita è una guerra di miserie individuali e che il suo corso è lo spegnersi di qualunque illusione. Può anche darsi che siamo "gettati" in questo mondo, ma il fatto stesso che questa "gettatezza" non ci faccia pensare al suo mistero, ma direttamente e solo al dolore che deve averci fatto l'impatto, la dice lunga. Levinas, forse uno dei pochi filosofi della speranza apparsi negli ultimi anni, notava che il nostro bisogno di felicità non corrisponde all'attesa di una fregatura, ma al fatto che nel fondo sappiamo che possiamo esserlo, che c'è qualcosa che può saziare e rispondere al nostro desiderio.

Ogni Pasqua ricorda qualcosa di simile e cioè che non siamo solo un coacervo d'illusioni tradite, ma piuttosto un anelito costante a ricominciare, a partire da zero. Il presente è la promessa ripetuta ogni istante che, nonostante il passato, nonostante la tristezza, nonostante il dolore, nonostante il male - che esiste e che facciamo o che ci fanno o che capita - si può sempre rinascere.


Nascere non è un dato fisso nel tempo. Ho un'amica tunisina artista, Raja El Fani, che si reca periodicamente dai carabinieri perché accettino di controfirmare e rendere ufficiale la sua dichiarazione: lei non si ricorda di quando è nata e quindi non può affermare di essere sicura di essere nata. Non c'è bisogno di essere artisti per concordare. Nessuno di noi si ricorda la sua nascita, proprio perché nasciamo ogni istante, proprio perché il presente è la nostra nascita. La resurrezione è l'evidenza che il presente ci spetta di diritto: siamo il presente.
Benjamin continua: «Non ci sfiora forse neppure un soffio dell'aria, che ha spirato intorno a coloro che ci hanno preceduti? Non vi è nelle voci, cui prestiamo ascolto, un'eco di quelle che sono ormai spente? Non hanno le donne, che noi corteggiamo, sorelle che esse non hanno conosciuto? Se è così, c'è allora un appuntamento segreto tra le generazioni che sono state e la nostra. Noi siamo attesi sulla Terra. Poiché a noi, come ad ogni generazione che ci ha preceduti, è stata concessa una debole forza messianica, su cui il passato ha un diritto».

Nell'idea di redenzione, che è la stessa cosa dell'idea di resurrezione, c'è questa meravigliosa percezione della continuità, della compagnia che ci fanno le donne e gli uomini che ci hanno preceduto o che vivono adesso, che abbiamo o non abbiamo conosciuto. È quello che si chiamava la comunione dei santi, ma che qui ha il senso molto meno parrocchiale: una vera comunione umana, al di là delle crudeltà e delle sofferenze, nella commozione di fare parte del presente, nella commozione delle straordinarie cose che del presente non arriviamo a capire.
Non c'è bisogno di essere nichilisti per essere laici (che tristezza lo scientismo laico!), basta credere che siamo molto più vasti di quello che pensiamo e che il presente ha in sé sempre un germe d'inesauribilità.

4 aprile 2010
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