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Authority a prova di autonomia

di Orazio Carabini

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4 Marzo 2010

Assediate, minacciate, soverchiate dalla politica, le authority indipendenti si difendono. E la strategia è un "arrocco" sovranazionale: se i governi nazionali puntano a recuperare i poteri ceduti agli organismi che devono fare da intercapedine tra la politica e il mercato, le organizzazioni internazionali intervengono a tutela dell'indipendenza delle authority. Rivelando un atteggiamento favorevole al consolidamento d'istituzioni che, in molti paesi e in molti settori, sono abbastanza giovani e quindi soggette a periodiche ondate di riflusso.
Vale per l'Antitrust con il regolamento comunitario n. 1 del 2003 che assegna a un giudice o a un'amministrazione la funzione di decidere sulle tematiche della concorrenza. Nel caso si scelga la soluzione dell'amministrazione, questa, quindi, dev'essere il più possibile simile a un giudice, terzo e indipendente. Vale per il Sistema europeo delle banche centrali che permette alla Bce di dire no alle decisioni dei singoli stati sulle banche centrali nazionali (l'Italia ne sa qualcosa, dal mandato del governatore alle riserve auree). Vale per le comunicazioni e per l'energia, con alcune direttive che potenziano l'indipendenza delle authority.
E in prospettiva, come emerge dal volume curato da Marco D'Alberti e da Alessandro Pajno (Arbitri dei mercati - Le autorità indipendenti e l'economia, il Mulino-Astrid), questa tendenza si estende alla riforma dell'architettura sovranazionale della vigilanza sui mercati finanziari, con il rafforzamento del Financial stability board e il potenziamento dell'indipendenza delle authority che vigilano sulla stabilità degli intermediari. Oppure in Europa con i regolamenti che istituiscono il Comitato europeo per il rischio sistemico e le tre Autorità europee di vigilanza per banche, assicurazioni e strumenti finanziari.
Ma bastano questi presìdi istituzionali sovranazionali a garantire un'effettiva autonomia delle authority? La risposta è che aiutano ma non sono sufficienti. La politica ha vari mezzi per recuperare terreno a suo vantaggio. Il primo, e più evidente, è la scelta degli uomini che guidano le authority: se un governo (o una maggioranza parlamentare) sceglie una persona che non ha a cuore il valore dell'indipendenza della sua istituzione o che pensa soprattutto al proprio futuro, diventa più facile far breccia nei meccanismi decisionali dell'authority.
Da più parti è stato suggerito di affiancare al "voto di gradimento" espresso in parlamento (anche con maggioranze qualificate che caratterizzano come bipartisan una scelta) delle vere e proprie audizioni del candidato che, rispondendo alle domande dei parlamentari, sarebbe costretto a prendere pubblicamente posizione sui temi più delicati.
Un altro mezzo a disposizione della politica è il finanziamento delle authority. In tempi di magra per i bilanci pubblici è facile, e talvolta doveroso, tagliare anche gli stanziamenti per le authority indipendenti. Tuttavia bisogna evitare che l'emergenza dei conti pubblici venga utilizzata come un'arma per tagliare le unghie dell'indipendenza alle authority. E allora ecco che ai finanziamenti statali è meglio affiancare forme di autofinanziamento: l'imposizione di contributi alle imprese vigilate. Anche se, secondo alcuni studiosi, questo flusso di risorse dai vigilati ai vigilanti favorirebbe quel deleterio fenomeno conosciuto come cattura del regolatore, che trasforma l'authority in ostaggio del mercato di cui dovrebbe essere l'arbitro.
La trattativa che alla fine dello scorso anno ha coinvolto le varie authority italiane, il ministero dell'Economia e il parlamento per trovare un modo di finanziare l'Antitrust rimasta a corto di mezzi non è stato uno spettacolo edificante. Né può diventare una soluzione permanente il finanziamento del sistema attraverso i contributi delle imprese di alcuni settori a vantaggio di altre che non sono chiamate a contribuire.
C'è infine il problema più generale: serve in Italia una riforma del sistema delle authority, una sorta di legge-quadro per completare il quadro delle competenze e per introdurre norme comuni sulle procedure e sul personale? Il governo Prodi ci aveva provato senza successo. Ora non se ne parla più, ma il quadro va completato. Alcuni settori (l'acqua, le poste, i trasporti) sono "orfani". E le regole di gestione del personale sono troppo ispirate a quelle della burocrazia per essere efficienti.

4 Marzo 2010
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